Le primarie sono un mito, per citare Arturo Parisi o non piuttosto un mantra che nasconde il vuoto pneumatico politico che accompagna il centrosinistra da almeno tre lustri?
Dopo averle esaltate come una sorta di ricetta catartica e salvifica, indispensabile a spazzar via le storture della partitocrazia per esaltare le virtù della cosiddetta "società civile", dopo avere crocifissi in immagine, alla stregua di eretici, i socialisti che, da soli, hanno non da oggi messo in guardia sull'uso improrio di uno strumento su cui gli stessi analisti americani nutrono più di un dubbio, accade che una parte importante dello schieramento e con essa autorevoli esponenti dell'intellighentia nostrana prendono atto che le primarie altro non solo che un mantra che se continua ad essere agitato rischia di procurare danni duraturi.
Non solo Giovanni Sartori che, in verità, sin da quando si cominciò a parlarne manifestò espliciti dubbi sulla loro applicabilità in un sistema come il nostro o Ilvo Diamanti al quale è toccato spiegare la freddezza dei 2/3 degli iscritti al Pd ma anche storici teorici e supporters di questa e altre nefandezze (come la dottrina della vocazione maggioritaria del PD), cominciano, sia pure con improbabili equilibrismi in stretto politichese (vero sen. Ceccanti?) a mutare opinione. Era ora.
Di Parisi, almeno sino ad oggi, si sono perse le tracce ma c'è da credere che rilancerà. Avrà sicuro compagno di cordata Nichi Vendola che si cimenterà in qualche affabulazione, in cui è secondo a nessuno, per tentare di spiegare la bontà del mito.
Tuttavia "ad impossibilia nemo tenetur"
EP
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