venerdì 23 dicembre 2011

LA VOLGARITA' AL POTERE

Ieri, mentre il Consiglio regionale della Toscana approvava la manovra finanziaria regionale presentata dall'assessore Riccardo Nencini che prevede la riduzione del 10% delle spese su burocrazia, costi della politica ed enti di secondo grado, il Consiglio regionale del Lazio approvava la manovra finanziaria regionale presentata dalla giunta Polverini che prevede che i settanta consiglieri in carica (71 con il presidente) e i 14 assessori esterni continuino a percepire un vitalizio di circa 3000 € al mese mentre la pensione d'oro sarà abolita solo dalla prossima legislatura, peraltro con una norma non retroattiva. C'è pure una chicca aggiuntiva perchè tre consiglieri, due della lista Polverini e uno del Pdl, cessati dalla carica dopo tre mesi dall’inizio della legislatura perché in esubero rispetto ai 70 previsti dalla legge per il Lazio, percepiranno comunque il vitalizio. I consiglieri e gli assessori regionale laziali percepiscono un'indennità mensile pari a 12.000 €; i loro colleghi della Toscana esattamente la metà. Appare superfluo qualsiasi commento, salvo un sentito ringraziamento a Giovanni Floris per avere creato, a suon di ospitate nel suo laboratorio televisivo da Dottor Mabuse il personaggio Renata Polverini, una volgare Carneade che, eletta Presidente della Regione Lazio, sta offrendo (si fa per dire) il meglio di sè. EP

giovedì 15 dicembre 2011

RETE OH CARA!

Lo sport nazionale tra i più praticati, sembra essere diventato, al di sopra di qualsiasi altro problema, l'osservazione dei legal serials che da mesi accompagnano i protagonisti del tubo catodico. Da Santoro alla Costamagna, da Minzolini a Mentana. Nel frattempo, e giustamente, chi cerca un'informazione asciutta e soprattutto non manipolata e filtrata dalla grande firma televisiva, utilizza sempre più spesso la rete abbandonando i Tg e il talkshow che, con qualche rara eccezione, sono divenuti il proscenio di direttori o entertainer che vestono, alla scuola di Repubblica, i panni di opinion maker se non di capi partito. A quanto pare le dimissioni di Enrico Mentana, annunciate ieri con gran strepito, oggi rientreranno. Nel merito Mentana ha straragione: la pretesa dei parrucconi che guidano con logiche da politburo la corporazione dei giornalisti, ovvero che nel corso del tg venise letto un loro comunicato di cui non frega niente a nessuno, meritava il diniego motivato del superdirettore (per inciso un diniego molto "craxiano" che, una volta di più, disvela il suo background politico culturale). Ciò che ha disturbato è il clamore provocato da una presunta denuncia, poi smentita, alla magistratura che sarebbe partita contro il reprobo censore e l'annuncio delle dimissioni che nel pomeriggio di ieri e fino all' apparire di Superchicco sugli schermi alle 19.59, preceduto dal traino della favolosa Geppi che ha costruito una puntata di G-day all'insegna della ben nota, garbata, ironia, è diventato il fatto più importante dello scenario mediatico, più ancora del varo della manovra finanziaria e delle gravi intemperanze nell'aula del Senato della tribù di Bossi. Per ben 5 minuti (un tempo televisivo lunghissimo) Mentana ha fornito la sua versione dell'accaduto e, da consumato prim'attore, non ha chiuso la porta ad un ripensamento notturno. Fine della prima puntata. Vedremo oggi cosa ci riserva il canovaccio messo su in gran fretta. Occorrerebbe che nei centri di produzione di Tg e talk show si dessero una calmata e che cessasse rapidamente la sovraesposizione di anchor man e women che non ha eguali in nessun altro paese al mondo. Da mesi assistiamo ad invereconde sceneggiate i cui protagonisti sono giornalisti assurti a ruoli di star televisive che piegano il sistema ai loro umori, dimentichi spesso della loro missione che è semplicemente quella di informare e non già di vestire i panni dei salvatori della democrazia. L'infinito caso Santoro, uno dei personaggi più faziosi e intolleranti che la Tv ricordi, è diventato l'esempio a cui mezzibusti, vittime a loro dire di qualche torto, ispirano le loro sempre più frequenti intemerate. Parliamo tanto di noi, di quanto siamo bravi e onesti, di quanto siete bravi voi pubblico che ci seguite, ribellatevi dunque! Così l'informazione televisiva è entrata in una spirale di patologica autoreferenzialità che è causa del vistoso disincanto del pubblico che, dati alla mano, orienta con sempre maggiore frequenza la propria attenzione verso la rete che, per sua natura, garantisce un'informazione meno appesantita e, tutto sommato, più libera. EP

mercoledì 14 dicembre 2011

LA SIGNORA IN GIALLO...ROSSO E NERO

Come quella dei polizieschi televisivi, la signora in giallo, che parlano di Jessica Flachter, la signora in giallo-rosso-nero è arcigna e un pò invecchiata. Forse anche un pò più arrogante e sicura di sè. Ma Jessica almeno ci prende sempre. Non ne sbaglia una. La signora in giallo-rosso-nero è invece sempre bisognosa di aiuto. E vicino a sè porta sempre un paggio francese più giovanile e charmant, accoppiato con un’italiana, da sempre vittima dello strappo d’identità. Dipendiamo da lei. Che sostiene che dobbiamo fare i compiti a casa. Come uno scolaretto delle scuole medie. Su dettato suo, naturalmente. E nessuno che dica bao. Immagino Craxi in queste condizioni. Lui che sfidò Reagan a Sigonella. Perchè il problema non è il debito pubblico (il deficit francese è assai più alto e la situazione d’Oltralpe risulta anche più preoccupante). Il problema è la debolezza politica dell’Italia di oggi. Tanto debole la nostra classe politica che è stata costretta a fare un passo indietro col suo stesso consenso. Non si era mai verificato prima. La signora in giallo almeno alla fine scopre il colpevole dopo un lavoro di indagini e di intuito. Quella in giallo-rosso e nero invece non ha fatto per niente fatica. Il colpevole si era già accusato da solo. MAURO DEL BUE

venerdì 25 novembre 2011

LA RAGNATELA

Che ipocrita la politica di oggi. Si voleva formare un governo di emergenza. E allora perchè non si è formato un governo di emergenza composto dai partiti, come avvenne subito dopo la Liberazione e come, in qualche misura, avenne anche negli anni settanta, quando si formò una maggioranza di programma con un esecutivo politico dei ministri democristiani? Oggi si è inventato il governo tecnico. Che non può esistere, perchè ogni governo si basa sul consenso di una maggioranza parlamentare, e dunque politica. La vera motivazione della scelta compiuta è che nessuno dei due grandi partiti del bipolarismo italiano vuole confondersi eccessivamente con l’altro. E forse il terzo polo non vuole confondersi con nessuno dei due. E così, il cosidetto governo tecnico è risultato il paravento per evitare il rischio della contaminazione. Questo determina però una serie di evidenti paradossi. Il primo è quello che è emerso in queste ore ed è relativo ai vertici di maggioranza. Verranno convocati invitando tutti insieme, un polo alla volta, un partito alla volta? O forse solo i gruppi parlamentari, tutti insieme, un polo alla volta, un gruppo alla volta? Non si rischia il ridicolo? E a proposito dei vice ministri e dei sottosegretari, si parla di profili tecnici, ma nel contempo si certifica che saranno 12-15 del Pd, 12-15 del Pdl e 5 del Terzo polo. Quindi sarebbero tecnici segnalati dai partiti: tecnici politici, dunque. Una nuova, vecchia categoria. Che cosa cambierebbe? E che dire dei voti parlamentari? Dovranno essere convergenti se no cade il governo. Ma potranno, Pd e Pdl, dire le stesse cose? Dovranno forse dire cose opposte, per salvare il bipolarismo, ma poi votare nello stesso modo. E’ possibile, e soprattutto è credibile? Questa paura di contaminazione è in realtà animata dall’esigenza di tutelarsi l’un l’altro come soggetti alternativi, salvando così un bipolarismo che è invece la causa della crisi italiana. Perchè non ha mai permesso a chi ha vinto le elezioni di governare per risolvere i problemi. Solo Casini azzarda l’idea di puntare sulla convergenza, e non sul bipolarismo, anche dopo le elezioni. E così si vanno definendo le vere alternative politiche che il governo Monti mette alla luce. Quella del ritorno al conflitto e quella della perdurante conciliazione. Di Pietro è l’alfiere più intransigente, assieme alla Lega, che però non credo sia disponibie a un semplice ritorno al passato, del ripristino della scenario pre Monti, assieme a una parte del Pdl, ben interpretata dai giornali di Berlusconi, e anche a una parte del Pd, che fa capo alla sua sinistra (Fassina ne è certo l’esponente più esposto). Quella della permanenza della conciliazione, che è ben interpretata da Casini (Fini e Rutelli) e che passa anche all’interno del Pdl (Formigoni, Lupi, Cicchitto) e del Pd (Veltroni, Morando, Ichino). Chi vincerà questo braccio di ferro? Equivale alla domanda: quanto tempo resisterà Monti? E soprattutto alla domanda più di fondo: quale sistema politico si vuole definire per l’Italia? Si sta tessendo una tela (o ragnatela) che va dunque molto al dà del governo Monti. E che divide tutto quello che è stato unito in questi diciasette anni. MAURO DEL BUE

mercoledì 23 novembre 2011

DEGLI STIPENDI, DEI VITALIZI E D'ALTRO....

Giusto riflettere sugli stipendi, i privilegi e i vitalizi parlamentari, giusto proporre modifiche e riduzioni, ci mancherebbe. Sapendo però la verità, che sia i politici di oggi sia i giornalisti di sempre dovrebbero conoscere. E cioè che ogni modifica (come del resto vale anche per i lavoratori che sono già in pensione) riguarda quelli che sono in servizio, se si tratta di stipendi e privilegi, e coloro che verranno se si tratta di vitalizi. E di modifiche ne sono state già apportate molte. Ad esempio oggi non è più possibile ottenere un vitalizio con un solo giorno o mese o anno di carica parlamentare, come invece accadeva in passato, e come ancora oggi si continua a ricordare. E non è più possibile ottenere un vitalizio a meno di 60 anni, contrariamente al passato, e si potrebbe anche elevare l’età a 65 o 67. Volendo eliminare invece i vitalizi per gli ex deputati si verificherebbe un assurdo perchè, seguendo questo ragionamento, si dovrebbero richiamare in servizio i parlamentari che sono usciti, il chè, contrariamente ai baby pensionati congedati dal lavoro a soli 38 anni, sarebbe assai gradito dagli interessati. Quello che questa classe dirigente, incapace di motivare e difendere la propria situazione e anche, però, di introdurre da subito modifiche convicenti, serie, realizzabili, di ribattere, se è il caso, a critiche ed accuse infondate e di sostenere che i privilegi sono soprattutto altrove, questa classe politica così debole e ipocrita merita di essere trattata in questo modo. Continua ad autoaccusarsi, e rivela inevitabile la sua condanna popolare. Cavalca la tigre e insegue la moda, non sa spiegare e sostenere una tesi (ad esempio che i benefit dei parlamentari inglesi, tedeschi e francesi, che hanno stipendi, quelli francesi solo leggermente, inferiori ai nostri, assommano a più del doppio di quelli italiani, come recentemente pubblicato su “L’Espresso”), non è capace di criticare con dovizia di particolari anche chi la mette sul banco d’accusa e sottolineare anche i cospicui privilegi dei suoi spietati critici. Perchè non esistono forse i privilegi dei magistrati, ad esempio (sono stati pubblicati quest’estate quasi clandestinamente su “La Repubblica” con particolari inquietanti sui doppi e tripli stipendi e pensioni) e quanti sono quelli dei giornalisti di Stato, compresi coloro che tanto si scandalizzano per gli stipendi e le vitalizi altrui? E quelli degli stessi giornalisti ormai specializzati in libri e articoli contro la casta a quanto ammontano? Si dirà: sono a carico di privati. No. I giornali hanno anche provvidenze pubbliche. Potrei continuare coi manager di stato, coi presidenti di società a partecipazione statale, coi direttori e gli amminisitratori delegati delle aziende pubbliche e via dicendo. Questi signori, che sono i veri privilegiati e che hanno stipendi di dieci, venti, trenta volte superiori a quelli dei parlamentari, pensioni d’oro, benefici assai più cospicui e costosi, sono quasi immuni da critica. Compresi i cosidetti tecnici che oggi ci governano e che, provenendo in larga parte dall’apparato dello Stato, guadagnano assai più dei ministri di prima. Sono immuni, e anzi potenzialmente moralizzatori, perchè non sono ritenuti parte della casta politica, e dunque non stanno nell’epicentro della crisi. D‘altronde l’atteggiamento della classe politica di oggi giustifica ampiamente la sua messa sul banco degli imputati. Il suo comportamento induce ad emettere una sentenza di condanna senza neanche il processo. Se la merita. Per quanto mi riguarda vorrei fare eccezione e contribuire a fare chiarezza e tornerò sull’argomento non già per difendere la casta, ma per approfondire, precisare, ribattere nella convinzione che esistono le caste e che i costi delle caste altrui sono assai più insopportabili di quelli della sola esecrabile casta già condannata a morte. MAURO DEL BUE

lunedì 21 novembre 2011

ARRIBA ESPANA!

Ha vinto la destra. Nettamente. Ma sostenere che la Spagna ha voltato pagina per uscire dalla crisi nella quale è sprofondata appare, francamente, velleitario ed eccessivo. Alla Moncloa torna un galiziano, figlio di quel nord est della penisola iberica, appendice settentrionale del Portogallo dove, la lingua ufficiale è il gallego, molto più simile al lusitano che non al castigliano, terra che ha dato i natali a Francisco Franco e al suo erede politico Manuel Fraga Iribarne, méntore di Mariano Rajoy, il vincitore delle elezioni. Dopo un andaluso, Felipe Gonzalez e due castigliani, Josè Maria Aznar e Josè Luis Zapatero, divenuti premier poco più che quarantenni, la Spagna ha affidato i propri precari destini al cinquantaseienne ex notaio di Santiago di Compostela, luogo legato al tradizionalismo cattolico spagnolo di cui Rajoy è, al pari di Aznar, chiara espressione. Dai suoi predecessori Rajoy non ha certo ereditato il carisma, perché i suoi tratti caratteriali sono rappresentati dalla "retrança" galiziana già incarnata dal Caudillo: understatement, oratoria tutt'altro che trascinante ma anche astuzia, tenacia e ostinazione che il leader della formazione, nata come appendice del franchismo, ha mostrato nei lunghi anni nei quali è stato il capo dell'opposizione al brillante Zapatero. Nonostante la sconfitta alle elezioni del 2008 infatti, Rajoy ha tenuto saldo il timone alla guida del Partito Popolare e, dopo solo tre anni, profittando delle defaillances in campo economico e finanziario e dell'annunciato ritiro dalla scena politica del cinquantenne primo ministro, con il Psoe impreparato al suo avvicendamento con un candidato che in qualche modo potesse segnarne la discontnuità, ha conquistato un'ampia maggioranza assoluta alle Cortes, tale da consentirgli di governare il paese iberico con una forza parlamentare blindata. Nella vittoria di Rajoy, insperata fino ad un anno fa, ha giocato un ruolo anche la "baraka", la fortuna che assistette nella sua ascesa l'altro galiziano. Mutatis mutandi, a cominciare dalla ovvia considerazione che ben diverse sono le modalità e le circostanze interne che ne hanno determinato la vittoria, come Franco, Rajoy, il notaio di Compostela, espressione della Spagna conservatrice che ha nella Galizia uno dei suoi contrafforti, ha potuto giovarsi dell'esplosione di una gravissima crisi economica e finanziaria eterodiretta, del malcontento trasversale di ampi settori della società spagnola, di cui gli indignados sono parte anche se non l'unica, di un declino tanto rapido quanto imprevisto di una nazione che sembrava avviata ad un rinascimento nel segno delle riforme sociali di cui i governi socialisti sono stati protagonisti. Certo, non siamo nel 1936, i conflitti sociali non sono certo figli dell'esasperazione ideologica di quegli anni, i modelli da seguire non sono i regimi di Stalin, Hitler e Mussolini poiché in Spagna come in Europa la democrazia ha messo radici ben solide e Mariano Rajoy non può obiettivamente essere definito un nostalgico del falangismo franchista, tuttavia, sia pure con modalità che, quasi certamente, non usciranno dal perimetro democratico, avendo il PP una maggioranza parlamentare bulgara, non è difficile prevedere per i prossimi anni un riflusso della Spagna verso un oscurantismo neoclericale e nazionalista, scandito da politiche sociali conservatrici di segno neoliberista a scapito della prosecuzione del percorso laico e riformista perseguito dai governi socialisti. La scelta dell'elettorato rischia dunque non di rappresentare una svolta ma, sull'altare del risanamento finanziario, una ben più problematica inversione ad u. Con il rischio, per ora remoto, che qualche hidalgo nostalgico possa anche rispolverare l'antico motto: Arriba Espana! ep

martedì 15 novembre 2011

CRISI. NENCINI: A MARIO MONTI HO CHIESTO EQUITA'

Al termine di due giornate che lo hanno visto impegnato insieme a Carlo Vizzini sul fronte delle consultazioni per la formazione del nuovo governo con Giorgio Napolitano e con il Premier incaricato Mario Monti, il segretario nazionale dei socialisti Riccardo Nencini, visibilmente soddisfatto, incassa anche la conferma che nel sondaggio del lunedì di EMG per il TGLa7 il Psi è stimato all'1.3%.
"Ho parlato a lungo con il capo dello Stato. I minuti previsti erano 10. Sono diventati 15. II rapporto con Napolitano è antico".
Cioè?
"Quando Napolitano era presidente della commissione affari istituzionali del Parlamento europeo, ero presidente del Consiglio delle assemblee regionali d'Europa. Fu la Rosa nel Pugno a indicarlo per primo, nel 2006, come candidato presidente della Repubblica: fui io a comunicarglielo".
In quei 15 minuti, cosa vi siete detti?"Intanto, l'intervento di Napolitano è il segno che la politica non è tramontata, e le istituzioni, quando hanno buoni rapporti, rappresentano bene un pezzo dell'Italia".
Il Psi appoggia Monti?
"Abbiamo detto non solo sì a Monti, ma anche che serve un programma di riordino degli enti locali e istituzionali, è necessario un taglio dei parlamentari, e vanno prese misure economiche efficaci ed eque".
E con Monti quanto è durata?
"Quaranta  minuti. Gli abbiamo ripetuto i nostri obiettivi, e quando gli ho parlato dell'esigenza di misure economiche eque mi ha fermato: "Sull'equità non è necessario aggiungere aggettivi" - ha affermato il premier incaricato - Sono d'accordo". Un bel segnale".
Ma non vi sarete fermati qui?
"No, assolutamente. Abbiamo parlato anche delle manifestazioni davanti al Quirinale e Palazzo Chigi, gli abbiamo detto che oggi è necessaria una fase di pacificazione fuori dal Parlamento e di responsabilità dentro al Parlamento. Siamo stati molto soddisfatti che le sue prime dichiarazioni siano andate in questo senso".
Sarà un governo "lacrime e sangue"?
"Il dialogo si è ovviamente concentrato sulle questioni economiche: oltre al taglio dei parlamentari, ed alle spese della politica - non è possibile che il Consiglio regionale della Sicilia costi 170 milioni di euro e quello Toscano 30 milioni - ci devono essere criteri univoci in tutta Italia.  Abbiamo espresso quella che secondo noi è necessità. Occorre puntare alla tassazione delle rendite finanziarie, ma anche proposto che si utilizzi, come si è fatto in Toscana per i ticket sanitari, l'Isee, l'indicatore di situazione economica".
Monti durerà fino al 2013?
"Lui ci prova, con bravi tecnici e eccellenti politici".
E il Psi, in caso di elezioni, cosa farà?
"Alle prossime elezioni ci presenteremo col nostro simbolo, in una alleanza liberale, laica, aperta ai democratici. E speriamo con un'intesa che dall'Udc arrivi fino alla sinistra riformista".

VI CONGRESSO DELLA FGS

mercoledì 9 novembre 2011

OTTO NOVEMBRE

L'auspicata e prossima uscita di scena del Presidente del consiglio coincide, per uno singolare contrappasso, con la sentenza di primo grado del tribunale di Napoli relativa alla cosiddetta Calciopoli la cui scoperta risale alla primavera del 2006, alla vigilia dei mondiali di calcio dei Germania vinti dalla Nazionale italiana.

Lo sport più popolare d'Italia, per uno dei soliti accidenti del destino, è sullo sfondo delle vicende politico giudiziarie che hanno occupato l'interesse dei media dell'8 novembre 2011. Mentre si consumava tra Camera e Quirinale la Waterloo del Cavaliere, Premier uscente e presidente del Milan, nel capoluogo partenopeo i giudici del tribunale stavano per emettere una sentenza che ha confermato, mediante durissime condanne, il profilo criminale dell'associazione messa in piedi da Luciano Moggi, per anni considerato l' apparente contraltare juventino di Berlusconi, nel calcio italiano.Tra i condannati (un anno e tre mesi per frode sportiva, mica per taccheggio), c'è il sig. Diego Della Valle. Si proprio "quel" Dellavalle che, da mesi occupa salotti televisivi, acquista pagine intere di giornale, per fare la morale agli altri scrivendo parole al curaro contro la casta, ponendosi alla testa degli indignati da salotto buono, un esercizio caro a larga parte del ceto imprenditoriale nostrano che, anziché assumersi le proprie gravi responsabilità relative al declino etico del nostro Paese, si erge a giudice, avendo la pretesa di indicare la via da percorrere per uscire dalla crisi. E' difficile, in tema di improntitudine, scorgere qualche differenza tra il premier dimissionario e il sig. Della Valle: entrambi imprenditori di successo, espressione della leva che Giuseppe De Rita definisce come i "cetomedizzanti" ossia i responsabili di un falso benessere borghese generalizzato, hanno trasferito la loro filosofia del successo da ottenere a qualunque costo, in spregio a qualsiasi regola o codice, prima nel gioco del calcio, portandolo a una situazione di degrado etico inaudita, e poi, in politica.
La parabola politica di Berlusconi è ben nota.
Quella di Della Valle, viste le premesse, è auspicabile che neppure inizi.
Se un personaggio come Luciano Moggi ha potuto tessere la sua tela criminale per anni, falsando partite, corrompendo arbitri e designatori, controllando e determinando, mediante una vera e propria cupola di cui era il capo indiscusso, rispettato e temuto, i risultati delle partite, i trasferimenti e le carriere dei giocatori è perché ha goduto di tolleranza e complicità nell'ambiente, ai più alti livelli, ambiente di cui i fratelli Della Valle, tuttora padroni della Fiorentina, erano magna pars, oltre naturalmente ai Lotito, Galliani e compagnia.
A codesto genere di imprenditori la politica ha già dato.
Diego Della Valle, anni fa, ci aveva già provato con l'Udeur (!), ritirandosi in buon ordine quando finì nei pasticci per calciopoli.
Ora ci stava riprovando anche grazie ai soliti Floris, Santoro e al loro elastico senso dell'etica pubblica.
La sentenza di Napoli dovrebbe indurre lui e i suoi supporters a desistere perchè in caso contrario l'Italia, tornerebbe, come si dice a Roma, "da capo a dodici".
EP

martedì 8 novembre 2011

BRUNETTA (DEI RICCHIE POVERI)

C'era una volta un comico pugliese che spesso evocava la brunetta dei Ricchi e Poveri. Era una delle due donne (l'altra era bionda, più alta e più belloccia). La brunetta non se la filava nessuno e cantava con il tono della voce più alto e un tantino sgraziato. Anche per far notare la sua presenza. Oggi pare sia diventata ministro. Forse un pò diminuita di
statura (per via dell'età, può capitare). Ma il Brunetta con gli occhi stralunati, il capello più fluente, il cipiglio più virile, l'irruenza sempre più incontrollabile, afflosciato nella poltrona di Porta a Porta di ieri sera, mi ha proprio dato l'impressione di un vecchio cantante alla deriva, inacidito come una vecchia zia, che non se la fila più nessuno e se la prende con tutti. Avrà anche avuto delle ragioni (che so, la storia dello scalone io la condivido), ma anche le ragioni ieri sera si trasformavano in torti, tanto erano puntigliosamente arrugginite da un tono inutilmente accidioso e agguerrito. Possibile che dentro il Pdl ci siano personaggi (da Brunetta alla Bernini) che non hanno ancora capito che il tempo della trincea è finito? E come un cantante non sa che deve cambiare timbro se passa da una canzone d'amore a una di morte,
così anche un uomo politico che non comprende che il tempo dei lunghi coltelli è archiviato, rischia il ridicolo. E dal loggione è naturale che poi piovano risate grasse, anzichè lacrime nel punto più commovente e struggente della musica. Lo porteranno via dalla scena Brunetta, mentre si agiterà ancora con le gambine che si attorcigliano tra urla e schiamazzi. E ritornerà tra i ricchi e i poveri davvero.

MAURO DL BUE

lunedì 7 novembre 2011

GATTINI CIECHI

La giornata di oggi sta trascorrendo con il frenetico rincorrersi di voci e smentite sulle possibili imminenti dimissioni di Berlusconi e la serata potrebbe riservarci dei coupes de theatre i cui contenuti, peraltro, è arduo pronosticare. Può davvero succedere di tutto.
Intanto c'è chi come Ferrara, con malcelato dispiacere, giudica l'addio di Berlusconi inevitabile e imminente, altri come il criptico La Loggia (toh! chi si rivede!) lo esclude e parla addirittura di una maggioranza che si rafforza annunciando sorprese per domani.
Il primo effetto di questo clima schizoide sta nel fatto che le borse sono altalenanti, prova provata che, se si sussurra che il Premier toglie il disturbo all'Italia (ché, di questo si tratta), l'indice della borsa risale e scende lo spread; succede il contrario subito dopo che arriva la irata smentita del Cavaliere che definisce gossip, le voci che lo descrivono sul punto di gettare la spugna.
L'andamento odierno dei mercati finanziari è la plastica rappresentazione, a beneficio di chi ancora va sostenendo che non è vero, che il problema non è l'Italia ma Sivio Berlusconi di cui non si fidano probabilmente neppure più gli uscieri della City o di Wall street.
Lo stesso commissario europeo agli affari economici Olli Rehn, come se non bastasse, fa dire oggi al suo portavoce che "La lettera inviata dall'Italia ha dei limiti oggettivi, non c'è ad esempio un'analisi economica delle misure o l'impatto sul bilancio e nemmeno i dettagli della riforma del lavoro. I mercati chiedono chiarezza". Un'altra mazzata.
La resistenza di Berlusconi è puntellata principalmente dalla sua famiglia, dai suoi legali e da Fedele Confalonieri, altra plastica dimostrazione che il bene dell'Italia è l'ultimo dei problemi a cui trovare una soluzione che affollano la mente di un personaggio, che ha occupato la poltrona di Premier con lo scopo primario di tutelare se stesso e i propri interessi, oggi seriamente minacciati dal combinato disposto finanza-politica-magistratura che potrebbe, nel volgere di pochi giorni, travolgerlo.
Non a caso la linea del Piave fissata da Berlusconi non è il partito di cartapesta che ha costruito e che si sta disfacendo con la stessa velocità con cui è nato e che, se raggiungesse l'obiettivo di elezioni anticipate (considerato ormai il male minore), è pronto a ricostruire con dipendenti a lui fedeli, ma la sua famiglia allargata, intesa come il contenitore di interessi, vera ragione del clima da ultimi giorni di Pompei che sta attecchendo definitivamente su umori e comportamenti dei berluscones-deputati, fino a ieri considerati alla stregua di pasdaran ma che oggi si aggirano come gattini ciechi alla ricerca di improbabili nuovi approdi politici.
Sempre che non abbia ragione, Dio non voglia, il redivivo Enrico La Loggia.
EP

lunedì 31 ottobre 2011

L' OMBRA DI TAFAZZI


Da ieri è cominciata la campagna elettorale che sarà lunghissima e, viste le premesse, virtualmente cruenta.
Lo si avverte non tanto per le cose che dice il Premier, tanto poi le smentisce qualche ora dopo, prendendosela "more solito" con i giornalisti che distorcono le sue parole e il suo pensiero ma dal dissotterramento di pratiche parainformative che le sue corazzate televisive e i suoi giornali stanno riciclando con il solito zelo che le caratterizza ogniqualvolta si avvicina una scadenza elettorale.
Il cavaliere ha costruito le sue fortune in politica certo giovandosi della potenza di fuoco delle sue televisioni ma occorre riconoscere che il mezzo lo conosce e lo sa usare, a differenza dei suoi competitori, malati inguaribili di tafazzismo mediatico.
Le sue obbedienti redazioni hanno approntato i piani di disinformazione subliminale scegliendo accuratamente gli interlocutori da invitare nei programmi: comunisti doc e fieri di esserlo e proclamarlo, ai quali non pare vero di avere servita una tribuna mediatica per apparire.
Ed ecco sfilare i Diliberto e i Marco Rizzo, pronti a sedersi alla tavola del "nemico" pur di apparire e millantare una supposta loro influenza nel campo dell'opposizione e a sparare le residue cartucce a loro disposizione per trascinare il dibattito politico sui binari che il Premier preferisce, consentendogli l'interpretazione della pantomima dell'eroe senza macchia e senza paura, ultimo baluardo contro l'avvento dei comunisti.
Come se non bastasse, dal fronte La7, il prode Telese, affiancato dal berlusconiano Porro, occupa un week end mettendo a disposizione In Onda ai grillini e a Fausto Bertinotti, offrendo un contributo notevole alla causa.
Intanto Diliberto confeziona una miccia micidiale , che a Nosferatu Sallusti non pare vero di poter accendere.
Il Procuratore aggiunto della Repubblica di Palermo, Antonino Ingroia, dal palco del congresso del Pdci, fornisce un assist ai berluscones, pronunciando affermazioni che, nonostante i ripetuti appelli che il Capo dello stato ha rivolto ai magistrati in tema di sobrietà, un magistrato non dovrebbe mai proferire e, a seguito delle quali, in un paese normale, il Csm dovrebbe intervenire poiché Ingroia, oltre a portare fieno in cascina alla causa berlusconiana, ha inferto una lesione gravissima all'ordine che, c'è da giurarci, tornerà ad essere oggetto delle attenzioni dei media del premier che rilanceranno alla grande il tormentone delle "toghe rosse".
Non basta. Al termine di un weekend nel quale Matteo Renzi ha impazzato su tutti i media con le sue nuove, per dirla con Giuliano Amato, "cento padelle", un campionario di demagogia a un tanto al kilo, è andato in onda un nuovo episodio del serial ventennale del centrosinistra "Facciamoci tanto ma tanto male".
Il chierichetto del Pd di Raitre Fabio Fazio, un birichino che come il suo amichetto Floris, non ha eguali nel costruire e puntellare leadership virtuali, ha dato voce alle mirabolanti esternazioni del sindaco di Firenze che, verosimilmente, da ieri è entrato nella top ten personale degli sciagurati anchor men e spindoctors di Raitre che al centrosinistra, riescono, da sempre, a combinare solo danni.
EP

domenica 30 ottobre 2011

TECNE': IL PSI AL 2%

Secondo L'istituto Tecnè che pubblica nell'edizione di oggi dell' Unità un sondaggio sulle intenzioni di voto degli italiani effettuato tra il 25 e il 27 ottobre scorsi, il Psi si attesta al 2% dei consensi, esattamente il doppio di quanto ottenuto nelle elezioni politiche del 2008.
Occorre osservare che, da  quando Tecnè ha iniziato i rilevamenti mensili, ovvero dal dicembre dello scorso anno, il Psi, unico tra i partiti cosiddetti minori, nonostante il perdurante e clamoroso oscuramento mediatico che stampa e televisioni gli riservano, mantiene ed incrementa un trend di crescita costante (+ 0.8% rispetto a dicembre 2010)
Il sondaggio pubblicato oggi inoltre segnala che si è notevolmente allargata la forbice tra il csx e il cdx.
Secondo Tecnè infatti il csx oggi è in vantaggio di ben 11 punti sulla coalizione di governo, mentre il terzo polo, nel suo complesso, è stimato al 13%.  

venerdì 28 ottobre 2011

CHI BEN COMINCIA....

Chi ben comincia è a metà dell'opera.Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, nell' intervista al Messaggero di oggi
http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna&currentArticle=164SXF
indica con chiarezza i protagonisti, le linee guida e le scadenze che attendono la coalizione riformista di centro sinistra nelle prossime settimane e soprattutto disegna un definitivo profilo riformista, cosi come noi socialisti da tempo sollecitiamo, del nucleo da cui ci si muoverà per indirizzare la coalizione verso la definizione di un chiaro progetto di risanamento e ricostruzione dell'Italia.Si tratta ora di passare rapidamente dalle parole ai fatti, lavorando contemporaneamente per rendere partecipi di una road map politico-programmatica condivisa, altre formazioni di ispirazione liberaldemocratica e in particolare il partito di Pier Ferdinando Casini. Anche da questo punto di vista, il contributo politico e programmatico dei socialisti, che sarà definito nell' Assemblea congressuale di Fiuggi del prossimo dicembre sarà certamente un utile e importante tassello per il consolidamento del processo avviato.
RICCARDO NENCINI

mercoledì 26 ottobre 2011

LA STRANA COPPIA

Piazza Farnese, è una delle più belle piazze della capitale e probabilmente del mondo, situata in uno degli storici rioni di quella che fu la Roma papalina e rinascimentale, La Regola, a ridosso di altri due luoghi legati alla storia della città eterna, Campo de' fiori, quotidiana sede mattutina del celebre e colorato mercato, soprattutto luogo caro alla memoria laica poiché in quella piazza si compì il martirio di Giordano Bruno, e il vicino Palazzo della Cancelleria, uno dei simboli del potere temporale dei papi, che fu ultimo avamposto della resistenza della città durante il sacco di Roma compiuto dai Lanzichenecchi nel 1527.
La piazza è dedicata a una delle famiglie più famose dell'Italia rinascimentale, i Farnese, che affidò il progetto e l'edificazione del palazzo omonimo al genio creativo di Michelangelo Buonarroti.
Pochi anni dopo la Presa di Porta Pia e l'elezione di Roma a capitale dello stato italiano il palazzo è diventato la sede dell'ambasciata di Francia e la piazza è divenuta un luogo dove spesso vengono tenute manifestazioni politiche in ragione della sua centralità e delle non grandissime dimensioni che consentono di considerare riuscitissime manifestazioni che raccolgono non molti partecipanti.
Come quella ieri andata in scena ieri: una bizzarra e per niente affollata adunata antifrancese organizzata dai due pasdaran di Berlusconi: il florido, brillante, eccessivo Giulianone Ferrara con i suoi foglianti e la signora (si fa per dire) Daniela Garnero Santanchè, nota per il suo look da vamp sempre vistoso e per il lessico e la gestualità grevi e provocatorie che non perde mai occasione di palesare, foglie di fico dell'assoluta e desolante assenza di un pensiero autonomo e decente.
I due, da mesi, fanno coppia fissa in tutte le occasioni pubbliche nelle quali occorre difendere, contrattaccando, il signore di Arcore, anche quando buon senso e buon gusto suggerirebbero l'adozione di un profilo più basso e, come in questo caso, perché no, politicamente corretto.
Dopo la domenica nera di Bruxelles, l'irrisione ad personam da parte del duo franco tedesco, di tutto c'era bisogno meno che di una scombiccherata e sguaiata manifestazione di protesta sotto l'ambasciata francese, patrocinata da un personaggio come Ferrara, affezionato al suo personalissimo decadente canovaccio fatto di provocazioni di dubbio gusto ( le mutande esposte in un teatro milanese) e da una signora che farebbe bene a dedicarsi ad attività a lei più consone che non siano associabili alla politica.
In queste ora all'Italia, serve un rapido recupero di un profilo di credibilità politica e istituzionale e non certamente la riedizione della tigre di carta di mai sopiti e ottusi sentimenti revanscisti, antieuropeisti e antifrancesi che la strana coppia di Piazza Farnese ha fatto propri e vorrebbe maldestramente cavalcare.
L'ha ricordato, prima di tutto ai protagonisti dell'imbarazzante siparietto domenicale, il Presidente della Repubblica con una nota che dimostra come non sia poi così difficile esporre le proprie ragioni senza percorrere la comoda scorciatoia del cattivo gusto e della provocazione che sicuramente garantisce la benevolenza di un dante causa ormai declinante ma reca un danno ulteriore al prestigio e all'immagine di una nazione e di un popolo che, come ha mostrato con semplice chiarezza Napolitano, ha argomenti seri per affermare la propria solidale vocazione europeista, al netto di un profondo malessere causato da una congiuntura sfavorevole e aggravato dalle gratuite cadute di stile di due partner, per quanto importanti, del tutto fuori luogo.
Se riuscisse finalmente a evitare le frequenti scivolate sui ricorrenti cascami dell'educazione sentimentale veterocomunista che ha ricevuto, e che lo rendono eccessivo, esagerato e in definitiva poco credibile, è lecito supporre che Ferrara potrebbe mutuare da Napolitano, già suo compagno di partito e di corrente, argomenti e toni, sciogliendo rapidamente l'innaturale sodalizio con la signora Santanché, con la quale, sotto tutti i punti di vista, ha poco o nulla a che spartire.
EP

martedì 25 ottobre 2011

SONDAGGI. IN CRESCITA L'AREA RIFORMISTA DEL CENTROSINISTRA. IL PSI ALL'1.2%

Fabrizio Masia, Direttore di EMG
Nel consueto sondaggio sulle intenzioni di voto di EMG per il TgLa7, per la prima volta  il Psi è stimato all' 1,2%, confermando il  trend di crescita già segnalato da Digis e Tecnè nelle scorse settimane.
Tutti questi istituti di ricerca, gli unici a testare esplicitamente  il Psi, non collocandolo nell'indistinta voce "altri", a partire dal mese di luglio continuano a segnalare un avanzamento costante e progressivo del Psi che si attesta ormai ben al di sopra del risultato ottenuto nelle elezioni politiche del 2008. Un dato virtuale importante, in presenza del permanere del black out mediatico che il Psi continua a subire, che ha trovato peraltro una conferma reale nelle recenti elezioni regionali del Molise
Il sondaggio di EMG, registra inoltre, nel centrosinistra, una sensibile  crescita dei partiti riformisti e del Terzo Polo e un altrettanto sensibile calo dei partiti della sinistra radicale a cominciare da Sel che, in una settimana, flette di quasi l'1%, così come il movimento di Beppe Grillo (-0.5%).
Nel centrodestra, nuovamente è ripresa l'emorragia del Pdl e della Destra mentre la Lega Nord resta stabile. 

lunedì 24 ottobre 2011

UNA BRUTTA DOMENICA

Nel tardo pomeriggio di domenica 23 ottobre 2011, in pochi secondi, l'immagine dell'Italia, già lesionata ormai da mesi dal rincorrersi sugli organi d'informazione di ogni parte del mondo che raccontano le prodezze del suo Premier, ha toccato il punto più basso dal secondo dopoguerra. Al di la del merito delle questioni economico finanziarie sul tappeto, lasciate colpevolmente marcire da un governo inerte e imbelle, che da sole fanno tremare i polsi, da ieri sera tutti, ma proprio tutti, hanno potuto misurare il livello del discredito personale e politico di Silvio Berlusconi.
Certo si può e si deve eccepire sulla caduta di stile di Nicolas Sarkozy ed Angela Merkel: non si era mai visto che due leader irridessero pubblicamente di fronte alla stampa mondiale un collega in un modo così evidente e imbarazzante e l'atteggiamento del duo franco tedesco la dice lunga su chi comanda (e soprattutto in che modo) in Europa ma occorre considerare che entrambi i protagonisti del siparietto nel quale a farla da padrone certo non è stato il bon ton diplomatico hanno avuto, in tempi recenti, motivo di dolersi per i comportamenti del Premier italiano.
La prima per un fatto personale visto che è stata apostrofata da Berlusconi, sia pure in una conversazione privata, con un epiteto irripetibile riferito al suo aspetto fisico, il secondo perché sulla vicenda Bce- Bini Smaghi è stato, diciamolo con franchezza, preso in giro dal Cavaliere che gli garantì le dimissioni del componente italiano del Board per far posto ad un francese, garanzia che Berlusconi non ha onorato nonostante il maldestro tentativo di inserire il riottoso banchiere fiorentino nello sconcertante gioco delle tre carte per la nomina a Governatore di Bankitalia, collezionando un'ennesima magra al cospetto dei cugini d'Oltralpe che già di loro, come è ben noto, hanno verso di noi un secolare superiority complex.
Berlusconi, che, nonostante il pesante trucco, ormai denuncia chiaramente il suo stato di completo marasma psicofisico, fatto di inazione, gaffes grossolane di chi continua a non darsi per inteso della gravità della situazione ( "cosa devo fare con Bini Smaghi? Non posso mica ucciderlo!"), dormite senza ritegno nel corso di cerimonie ufficiali, siparietti con l'impresentabile Scilipoti, è ormai considerato un paria nei consessi internazionali e, ogniqualvolta si presenta a vertici con gli altri capi di stato, appare come un marziano a cui nessuno neppure più si avvicina.
Quanto avvenuto domenica 23 ottobre, una brutta domenica per gli italiani, da segnare in rosso sul calendario per le conseguenze che saranno apprezzabili già dai prossimi giorni, visto l'ultimatum presentato dai partner europei, lungi dal risvegliare mai sopiti rigurgiti antieuropeisti o peggio, stravaganti e ridicoli neonazionalismi che il duo Sallusti- Feltri sta cercando di insufflare (il titolo e gli argomenti del Giornale di oggi appaiono, difatti, come un insulto all'intelligenza degli stessi affezionati lettori della Pravda berlusconiana), è auspicabile che risvegli dal lungo sonno quegli italiani di buonsenso che ancora indugiano a domandarsi se Berlusconi sia l'uomo della Provvidenza contro l'avanzata delle forze del male e sarebbero magari pronti a rivotarlo nel caso di elezioni anticipate.
I sondaggi sulle intenzioni di voto segnalano che il suo partito, ancorché in sensibile calo, è ancora il primo, sia pure di poco.
Ed è questo aspetto che sconcerta mezzo mondo. Come, in altre parole, un uomo politico che non solo ha dimostrato scarsa capacità di governo ma che soprattutto è divenuto la grottesca caricatura di ciò che dovrebbe essere il leader di una grande nazione industrializzata, possa, almeno in teoria, godere di tanti consensi in patria.
Dopo domenica 23 ottobre, forse, molti elettori cominceranno a pensare che è giunta l'ora di cambiare. Speriamo.
EP

giovedì 20 ottobre 2011

TRAGEDIA A TRIPOLI. COMMEDIA A ROMA


Come Ceausescu, e come Mussolini, la fucilazione di Gheddafi era inevitabile, un rischio del mestiere. Diciamo questo non per fatuo cinismo o culto del taglione: semplicemente, perchè la sopravvivenza in vita del dittatore è impraticabile e insopportabile. In qualche modo, lo è anche per i suoi seguaci, che possono vivere ancora nel culto del Capo morto, meglio che nell’assistere impotenti alla sua umiliazione; morendo, egli svolge per l’ultima volta la sua funzione: quella di incarnare il regime. Per gli oppositori, ora vincitori, l’abbattimento del regime è certificato in primo luogo proprio dalla sua morte fisica, la catarsi del tirannicidio; mentre vivo, sia pur sotto processo, sia pure incarcerato, egli è un anacronismo, un passato che non passa, una minaccia. Minacciosa sarebbe pure la pietà, che prima o poi insorgerebbe per l’uomo invecchiato e indebolito, relativizzato nelle sue colpe dalla miseria della sua condizione. Particolarmente, com’è ovvio, quando il nuovo regime è debole, e non può permettersi nè nostalgie né chiamate di correo.
Gheddafi è stato uno dei peggiori, tra i dittatori del Ventesimo secolo, anche se, come i Mussolini, come i Ceausescu, ebbe all’inizio del suo potere più di qualche simpatia all’estero. Negli anni 70, la sua affabulazione di democrazia totale ingannò qualcuno, intento alla coltivazione di un terzomondismo fasullo. Negli anni 80 e 90, nel crescente manifestarsi di una patologia individuale e di una malattia collettiva, quella di una Libia ormai isolata dal mondo, sempre più arretrata e abbandonata a sé stessa, pure Gheddafi a intermittenza giocava la sua partita sulla scena internazionale, e quindi trovava o ritrovava interlocutori e alleati. In particolare, dopo l’11 settembre 2001 la sua avversione per l’islamismo fondamentalista apparve consentirgli un riciclo, e nuove benemerenze, lui che aveva giocato eccome con stragi e trame. L’ultima bufala dei dittatori arabi “laici” è stata quella di accreditarsi come utili argini contro l’orda islamica che popolava e popola le notti di chi non sa niente della realtà del mondo arabo, ma magari ha responsabilità di rilievo su questa sponda del Mediterraneo. Finzioni, chiacchiere, come quelle terzomondista di trent’anni prima. Affabulazioni, appunto, buone per coprire la vera partita: soldi, armi, petrolio.
E’ qui che il Colonnello ha trovato le vere risorse del suo potere, e poi la sua fossa: quando una rivolta che avrebbe potuto schiacciare facilmente, è diventata l’occasione per regolare tanti conti, vecchi e nuovi. Del resto, tocca dire che, per quanto insinceri o venali siano stati i promotori della coalizione internazionale, hanno avuto dalla loro argomenti pressoché inoppugnabili: ormai, per come si erano messe le cose, consentire il bagno di sangue sarebbe stato impossibile (dice: e perchè è consentito ad Assad, in Siria ? Bella domanda, ottima). Dalla parte perdente, Berlusconi: che si era coltivato il Colonnello con gusto tutto suo di piazzista, con quel cinismo, questo sì davvero fatuo, degli italiani che sanno loro come si fa con ‘sti beduini. Va poi sempre a finire così: sulla testa sorpresa dell’Alberto Sordi di turno arriva la legnata della tragica serietà della Storia, un 8 settembre con i tedeschi e gli americani che quella serietà l’hanno compresa, e tutto prende un’altra misura. Nel vuoto pneumatico della politica estera italiana, che non fa e non dice praticamente niente di utile, che non svolge alcun ruolo nel Mediterraneo, questo vizio nazionale di fatuità e furbizia è emerso senza attenuanti: quando le cose si sono fatte serie, Sordi-Berlusconi si è trovato stupito, un ceffone sulla faccia, a spiegare con lui non c’entrava. Tragedia a Tripoli, commedia a Roma. 
LUCA CEFISI

RAZZOLARE BENE

Il Parco Regionale di Lama San Giorgio è l'unico nella Provincia di Bari dichiarato sin dal 1997 area protetta.Gran parte del territorio della Murgia barese nel quale l'oasi protetta insiste, è carsico ed è attraversato da lame, torrenti a carattere temporaneo, ai cui lati vi sono aree verdi che ospitano una vegetazione di inestimabile valenza.Le Lame San Giorgio e Giotta, in particolare, hanno un rilevo speciale per le importanti connotazioni naturalistiche e per il ruolo che hanno nel drenare le acque piovane che sversano nel mare Adriatico. L’interesse naturalistico delle due lame è rilevante anche per la presenza di specie animali e vegetali.
Tempo fa il leader di Sinistra Ecologia e Libertà, presidente della Regione Puglia, nonché, se gli resta tempo, commissario straordinario per l' emergenza ambientale di quella regione, emanò un' ordinanza che prevede lo sversamento dei reflui degli impianti di depurazione delle acque nella lama san Giorgio.
In altre parole Vendola autorizzò lo sversamento delle acque di scarico delle fogne di una decina di grandi comuni, tale da provocare danni ambientali per circa 50 Km.Ieri, a seguito di un ricorso presentato dai cittadini, il Tar ha annullato il provvedimento.Vicenda al minimo imbarazzante, di cui, neanche a dirlo non si trova traccia mediatica, se non sulla stampa pugliese. Delle due l'una: o Nichi Vendola, leader di un partito che ha il termine ecologia nella ragione sociale predica bene e razzola male oppure, come è uso fare in circostanze consimili che riguardano il suo operato di amministratore pubblico, scaricherà la responsabilità su altri, magari su tecnici infingardi che non l'hanno informato dello stato delle cose a proposito di un territorio che peraltro conosce benissimo, considerato che è nato e abita in uno dei comuni interessati.
Un fatto è certo: sarebbe appena il caso che, dopo la censura ricevuta dalla giustizia amministrativa su una questione così dirimente, Vendola lasciasse l'ufficio di commissario per l'emergenza ambientale nelle mani di qualcuno che, magari neppure predica, ma in compenso almeno razzola bene.
EP

lunedì 17 ottobre 2011

VIVE FRANCOIS


La personalizzazione della politica è così, le idee sono incarnate da un volto, il medium fa il messaggio, e poche battaglie politiche sono così personalizzate come quella delle presidenziali francesi, dove non solo la storia personale del candidato, ma il suo corpo, i suoi modi, come sorride o come veste sono simbolo e veicolo (medium) del contenuto politico (messaggio). Hollande sarà dunque il candidato socialista, e solo qualche anno fa questa notizia avrebbe sorpreso molti: eterno segretario del Psf, ma mai veramente leader, capo, papà dei socialisti, il buon Francois con il riportino sulla pelata, piccoletto, quell’aria un po’ così, da bravo travet senza carisma. Al contrario della sua (ex) compagna, quella Segolène Royal, bella, elegante, carismatica e telegenica: quella col fastidio malcelato per la mediocrità delle mediazioni, e tutto meno che al servizio del partito, anzi, divismo smaccato perchè je suis Segolène (e voi no). La Royal, nel suo momento di quasi gloria quando sfidò Sarkozy nel 2007, è stata il simbolo della nuova sinistra (?) postideologica, mediatica, leggera leggera, così disinvolta nella piacioneria, rapida nella comunicazione, ruffiana nel dire a tutti quel che tutti vogliono sentire, e così moderata e benpensante nei contenuti da assomigliare tanto al vecchio centro, appena con un po’ di odore di sagrestia in meno. Tanto che alla fine Segolène rimane nella memoria quasi soltanto per la sua idea di meticciare il socialismo francese con i centristi del Modem in un vaghissimo democraticismo, e per quello qualcuno di noi, cattivelli, iniziò a chiamarla “il Veltroni in gonnella”, o magari, la zia francese di Matteo Renzi.
Si dice che le donne che lasciano il marito dopo i quaranta rifioriscano splendidamente: veramente, dopo che si sono lasciati, è rifiorito Francois, che è non è diventato alto nè si è trapiantato i capelli (è dimagrito però, eh), ma ha lanciato la sua sfida: quella di un signore serio, senza dubbio socialista, che gira in scooter, senza orpelli del potere, senza stuoli di portaborse, senza aerei privati, senza frequentare miliardari e divi. Insomma, un anti-Sarkozy, ma, tacitamente, anche uno che chiaramente se ne frega di competere in chic con la ex. Che alla fine non ha potuto che passargli i suoi voti, mica poteva lasciarli a quella Martine Aubry che già l’aveva messa in riga nella lotta per la segreteria, la seria figlia di Delors, battagliera, coraggiosa, ottima segretaria di un Parti Socialiste rinfrancato dalla sua guida ma forse di volto e stile non presidenziabili.
Certo poteva essere suicida, quello scooter, perchè i francesi adorano l’ostentazione del potere anche più di noi italiani, questa roba del maschio alfa, capite? Ma Francois, che non ha mai rinnegato il socialismo, la sua storia, la sua anima, che non si è mai neppure sognato di scioglierlo in pallidi liberalismi e democraticismi, ha scalato le spalle di un gigante, l’altro Francois, la “forza tranquilla”, ve la ricordate? E i giganti servono, ai piccoletti agili e ingegnosi, per stupire e stupirsi, e guadagnare quota. Ecco, Hollande sul suo scooter si è messo, piccolo e tranquillo, a guardare il mondo sulle spalle di Mitterrand. Non poteva non vincere nel popolo socialista, alla fine. Potrebbe convincere anche i francesi. Vive Francois (tutti e due). 
LUCA CEFISI 


CHAPEAU, CAMARADE AUBRY!

Ecco la prima dichiarazione di Martine Aubry, primo segretario del Ps, dopo avere appreso il risultato delle Primarie. E' in francese ma non è difficile capire il senso delle sue parole.
Un altro mondo, un'altra cultura politica, distanti anni luce dalle miserie della politica nostrana

domenica 16 ottobre 2011

LANZICHENECCHI

Lo stupro che, il 15 ottobre 2011, Roma ha subito per mano di poche migliaia di teppisti, peraltro organizzati quasi militarmente che hanno certamente attuato un piano strategico studiato nei minimi dettagli, fatte le debite proporzioni, rimanda la memoria all'anno di grazia 1527, allorché la città eterna fu invasa dai Lanzichenecchi, i mercenari tedeschi che la misero a ferro e fuoco.

Al di la delle evidenti differenze non può sfuggire il fatto che oggi come allora l'orda distruttrice era attesa e temuta: e oggi come allora, la città è stata lasciata praticamente indifesa, allora alla mercé dei mercenari luterani antipapisti assetati di sangue, oggi a non più di qualche migliaio di giovinastri anarcoidi e delinquenti che coltivano il culto della distruzione di tutto ciò che gli capita a tiro, come scelta di vita.
Al netto di facili dietrologie nelle quali si esercitano coloro i quali ammorbano con le loro analisi il panorama dei commenti del giorno dopo, delle inevitabili strumentalizzazioni politiche (o pseudotali) che ne seguono, appare utile sottolineare pochi aspetti che sono la cornice entro la quale è maturata la guerriglia urbana.
1) Si poteva prevenire un simile scempio? La risposta è si, si poteva e si doveva evitare se solo agli indignati fosse stato imposto di organizzare un servizio d'ordine all'altezza della situazione.
Non è pensabile consentire una manifestazione con decine di migliaia di persone senza che gli organizzatori attivino un minimo di filtro e di controllo sui partecipanti. Tutto invece è stato lasciato all'improvvisazione e nei giorni precedenti non è sfuggito a chi ha guardato anche distrattamente i servizi trasmessi da tutte le televisioni, che nei punti di concentramento degli indignati sparsi per la città, si aggiravano ceffi che con i loro atteggiamenti lasciavano presagire che almeno una parte dei manifestanti nel corso del corteo del 15 ottobre avrebbero sicuramente alzato pericolosamente i toni e le modalità della protesta.
L'osservazione vale per gli organizzatori (ingenui? Distratti?) ma anche per chi istituzionalmente avrebbe dovuto attuare un piano preventivo straordinario mediante controlli che andassero ben oltre la routine.
Inevitabile dunque che le forze dell'ordine schierate in l'occasione del corteo siano divenute come le poche migliaia di svizzeri a cui fu affidato il compito di difendere Roma dai Lanzichenecchi.
2) E' ora di finirla di far finta di non sapere da dove provengono i nuovi Lanzi: va detto chiaro e forte che i centri sociali in cui si raduna la feccia della peggiore gioventù sono i luoghi in cui si alimenta il culto della distruzione nichilista e che a Roma, come altrove, a costoro danno man forte i gruppi di ultras sedicenti tifosi organizzati paramilitarmente, felici di utilizzare qualsiasi evento di massa per dar sfogo alle loro pulsioni criminali che restano quasi sempre impunite.
Siamo in presenza di bande dedite alla violenza, all'intimidazione eletta a pratica quotidiana e la politica, di destra o di sinistra, non c'entra un bel nulla.
3) Occorre che certa stampa e taluni osservatori ed analisti ne prendano atto e smettano di girare la testa dall'altra parte, tentando maldestramente di ridimensionare la gravità di quanto avvenuto o addirittura di abbozzare una qualche giustificazione subliminale, come ha fatto Il Manifesto, che all'indomani dei tumulti relega alla terza riga del catenaccio in prima pagina quella che, piaccia o no, era la notizia del giorno o come ha fatto la stampa della destra che addossa supposte responsabilità politiche all'opposizione al solo scopo di distrarre l'attenzione dai disastri di questo governo.
Valga per tutti l'esempio dell'Unità che ha pubblicato in prima pagina l' agghiacciante immagine di un giovane intento a lanciare un estintore contro le forze dell'ordine.
Lo stesso gesto che stava compiendo Carlo Giuliani a Genova, dieci anni fa, prima di essere colpito a morte.
Un' evento drammatico che fu oggetto di non poche strumentalizzazioni, a destra come purtroppo a sinistra, culminate, come spesso avviene solo in Italia, con l'elevazione del ragazzo a icona del movimento antagonista e della madre a senatrice della repubblica, neanche a dirlo, per Rifondazione comunista.
Di simili icone è auspicabile che, dopo il 15 ottobre 2011, finalmente, a cominciare dagli indignati, nessuno avverta più la necessità.
EP







venerdì 14 ottobre 2011

C'E' UN GIUDICE A BRASILIA

Si chiama Helio Heringer, il Procuratore federale di Brasilia, che ha il merito di avere riaperto un caso che, grazie all'ignavia, la malafede e la ragion di stato, sembrava essere definitivamente chiuso.Cesare Battisti, il terrorista italiano pluricondannato all'ergastolo in Italia per i quattro efferati omicidi da lui commessi in gioventù, quando era militante dei Pac, grazie all'ordinanza di Heringer che ha invalidato il visto di soggiorno permanente in Brasile generosamente concessogli dopo la decisione assunta nell'ultimo giorno di mandato presidenziale da Lula di non estradarlo in Italia per scontare la sua pena (successivamente confermata dal Supremo tribunale dello stato sudamericano), non potrà più godersela come aveva iniziato a fare sulle spiagge dorate di Ipanema o Copacabana, rilasciando provocatorie e beffarde interviste ma, quantomeno, dovrà ricominciare a preoccuparsi, perché l'ordinanza prevede che venga espulso in Messico o in Francia, paesi nei quali aveva soggiornato e vissuto, godendo di protezioni e sostegno finanziario, fino a che fiutò il pericolo di essere estradato e fuggì in Brasile.Sicuramente la sentenza sarà impugnata dagli avvocati brasiliani di Battisti, lautamente finanziati dalla lobby gauchista francese guidata da Henry Bernard Levy e dalla scrittrice Fred Vargas, e il rischio è quello di andare alle calende greche, tuttavia la decisione del magistrato apre uno spiraglio di speranza per quanti, a cominciare dai parenti delle vittime, non chiedono vendetta ma soltanto giustizia. Già, perché il giudice Heringer, ha argomentato la sua decisione smontando clamorosamente la tesi secondo la quale Battisti sarebbe un perseguitato politico, sottolineando come egli debba scontare una pena per gravi reati comuni.Secondo Heringer infatti, la decisione di Lula di non estradare Battisti è politica e come tale va valutata ma non può mutare le caratteristiche dei reati per i quali il fuggiasco è stato condannato in Italia con sentenze passate in giudicato.In sostanza Battisti, in forza della iniqua decisione di Lula non è estradabile in Italia ma, secondo Heringer, non può rimanere il Brasile, paese dal quale deve essere espulso.
Battisti dunque, anche se ricorrerà contro l'ordinanza, torna ad indossare i panni che gli competono: quelli di un assassino in fuga e il,  fino ad oggi,  troppo ospitale Brasile comincia a non essere più un posto così sicuro.
C'è un giudice a Brasilia.
EP

martedì 11 ottobre 2011

BIG BANG

Auguro a Matteo Renzi ogni successo, ma lo slogan scelto per la Leopolda II non è affatto foriero di buoni auspici. Sotto questa insegna, esattamente la stessa – 'Big bang' – Michel Rocard, nel 1993, promise lo scioglimento del Partito Socialista francese e si autopromosse rifondatore della sinistra d'Oltralpe. Le cose sono andate del tutto diversamente.
Oggi i sondaggi considerano il candidato socialista alle Presidenziali francesi, probabilmente Francoise Hollande, vincente contro l'attuale Capo dello Stato.
Anche per la sinistra italiana, prima di avveniristici 'big bang', consiglierei rigore, lavoro di gomito e tre impegni da assumere di fronte ai cittadini: misure per il rilancio dell'economia (innanzitutto patrimoniale, tassazione delle rendite finanziarie, lotta all'evasione fiscale, denari nella ricerca, tutele per i precari), investimento nelle nuove idee (e nelle giovani generazioni), sobrietà nel governo della cosa pubblica.
Questa che sarebbe una vera rivoluzione riformista!
RICCARDO NENCINI

UN BEL GUAIO

Walter Veltroni ha scelto il giorno ideale per riguadagnare il proscenio mediatico per rilanciare le sue vulcaniche trovate strategiche.Il giorno in cui la sua sodale francese Segolene Royal, duramente punita dall'elettorato socialista alle primarie, si scioglieva in un pianto dirotto di fonte all'occhio delle telecamere, probabilmente ancora incredula del suo risultato, il nostro, a Roma, alla riunione della sua "non-corrente" (vien da domandarsi se esiste un maldestro aspirante spin doctor che ha suggerito a Walter una simile, ennesima idiozia o se non sia più probabilmente farina del suo sacco), rilanciava la sua onirica visone della politica con le solite affermazioni già sentite a proposito di partito leggero, vocazione maggioritaria ecc, tutta roba utile a destabilizzare il Pd a far tirare il fiato al PdL, insomma a complicare la vita, già non facile, della coalizione di centrosinistra che di tutto avrebbe bisogno meno che di rilanci di questa natura. Una coalizione che, (finalmente qualcuno dovrebbe cominciare a dirlo, senza lasciare lo spartito a quella cima del pensiero occidentale che è Matteo Renzi, altro mirabile esempio di propalatore di fumosi proponimenti che è il primo a smentire con i fatti, visto che interpreta la carica di sindaco a guisa di piccolo despota), da anni è condizionata da personalità che, visti i risultati ottenuti, farebbero bene a coltivare unicamente i loro hobby o a scrivere libri di memorie.Walter Veltroni è il principale responsabile politico del disastro elettorale del centrosinistra nel 2008, poiché fu lui a provocare la crisi del governo Prodi che portò l'Italia alle elezioni anticipate, lui, postcomunista, che inventò il Pd, partito leggero, all'americana (una sua fissazione), a vocazione maggioritaria, lui che, ispirato da disordinate letture di apprendisti stregoni della sinistra alla Anthony Giddens, così come faceva in Francia Madame Royal, predicava una supposta terza via che superasse la socialdemocrazia, con il bel risultato che allora fu battuto, e che oggi il Pd, vero ircocervo della sinistra, appare un partito aidentitario, senza un vero collante politico e valoriale, tenuto insieme da un crogiuolo di personalismi, interessi e strategie antitetiche che, quotidianamente gli assestano colpi che, a lungo andare, potrebbero rivelarsi esiziali. In Francia "la gauche", la sinistra, è il Ps, partito nel quale convivono filoni di pensiero tra loro anche profondamente diversi ma fortemente ancorati ai valori del socialismo democratico. Al punto che la meteora Royal, che tentò maldestramente di accantonarli, come fece e insiste a fare Veltroni in Italia, in pochi anni è passata da candidata all'Eliseo (sconfitta), a candidata alla carica di segretario del Ps (sconfitta) per terminare la sua parabola con la devastante performance alle primarie di domenica scorsa. Il tutto nel volgere di soli quattro anni.
C'è da esserne certi: si è trattato del canto del cigno di Madame, che, verosimilmente, lascerà la ribalta della politica nazionale. Già, perché, nei paesi normali, le carriere politiche dei leader, o aspiranti tali, dopo le sconfitte, hanno termine.
In Italia non è così.
Veltroni,che è sulla breccia da almeno vent'anni, nonostante una serie impressionante di rovesci, continua imperterrito a riproporre se stesso e il suo debol pensiero e, purtroppo, in giro c'è ancora gente, nei media e nel suo partito, che seguita a dargli credito.
Un bel guaio per il campo della sinistra riformista.
EP

lunedì 10 ottobre 2011

UN MATRIMONIO E DUE ANNIVERSARI

Ieri, giorno in cui John Lennon avrebbe compiuto 71 anni, Sir Paul Mc Cartney ha contratto il suo terzo matrimonio con l'americana Nancy Shevell.
Cerimonia sobria, che si è tenuta nello stesso luogo del primo matrimonio celebrato oltre quarant'anni fa, il Marylebone Register Office di Londra, con pochi invitati, tra cui l'altro supersite della mitica band, Ringo Starr, anch'egli ultrasettantenne, ma come Sir Paul, in ottima forma.
Oggi, sempre a Londra sarà presentato un film documentario sulla vita del quarto beatle, George Harrison, scomparso poco meno di dieci anni fa, realizzato nientemeno che da Martin Scorsese, il regista che scelse un pezzo di George, What is life, per una tre le sequenze più efficaci di uno dei suoi film più acclamati, The good fellas.
Sembra incredibile ma a distanza di quasi mezzo secolo dal loro debutto, di poco più di quarant' anni dal loro scioglimento, i Beatles continuano, da vivi come da morti, a calamitare l'attenzione di media, artisti, fans e osservatori, più di altri componenti di qualsiasi altra band.
Certo Macca, che appare in gran forma nonostante lo scorrere degli anni (quasi 70), ancora in piena attività contribuisce a tenere viva la memoria di un fenomeno non solo musicale su cui in molti si sono esercitati nell'analisi delle ragioni.
Quel che è certo, al di la della indiscussa qualità e quantità della loro produzione musicale, i Beatles rimangono ancora il simbolo e l'esempio positivo di come i cambiamenti di costumi e mentalità possano nascere quasi per caso e soprattutto essere attuati non già con proclami incendiari ma con gesti, parole e musica che, in ragione della loro semplice bellezza, li rendono concreti.
Ieri cadeva anche l'anniversario dell'uccisione, avvenuta nel 1967 in Bolivia di Ernesto Che Guevara, il cui mito, molto controverso e discutibile, sembra anch'esso resistere alle ingiurie del tempo, consegnato tuttavia unicamente alla memoria di chi lo ha elevato ad icona e simbolo dell'Araba Fenice della rivoluzione permanente da condurre su scala mondiale .
Tuttavia, anche il Che, come i Beatles, sta a pieno titolo nella galleria dei ricordi degli anni 60 e resta un segmento importante per comprendere quella complessa e per certi versi irripetibile vicenda storica sulla quale molto è stato scritto.
Con la sola differenza che "bucano" le coscienze molto di più i poco più di tre minuti di "Let it be" di Lennon - Mc Cartney che non le oltre 150 pagine de "La guerra di guerriglia" di Che Guevara.
EP

sabato 8 ottobre 2011

DELITTI E COMPLEANNI.

Il 7 ottobre 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana, Silvio Berlusconi, si è recato a Mosca per partecipare ai festeggiamenti in occasione del compleanno del Primo Ministro della Federazione Russa Wladimir Putin, di cui è devoto amico e ammiratore.

Il 10 ottobre del 2006, si svolsero i funerali di Anna Politovskaja, la giornalista della Novaja Gazeta, assassinata tre giorni prima, con un colpo di pistola, da un killer, all'interno dell'ascensore della sua casa di Mosca.
Cinque anni dopo il delitto, che, guarda caso, fu consumato, nel giorno del compleanno del grande amico di Berlusconi, l'ex comunista, ex membro del KGB Wladimir Putin, allora presidente uscente della Federazione russa, oggi quasi sicuramente rientrante, dopo quattro anni sabbatici (si fa per dire) trascorsi a fare il premier di Medvevdev, il mistero sull'ammazzatina che per le modalità con le quali è stato commesso, mantiene intatto il profilo di omicidio mafioso in salsa tardostaliniana, c'era da scommetterci, non è ancora stato disvelato.
E chissà quando mai lo sarà.
L'arresto, avvenuto lo scorso agosto di Dmitrij Pavliucenkov, colonnello in congedo che avrebbe pagato e istruito il ceceno Rustam Makhmudov, fermato qualche mese prima con l'accusa di essere il killer della donna, suscita infatti non pochi dubbi poichè, a distanza di mesi da entrambe le azioni giudiziarie, non si è ancora capito chi o quali sarebbero i mandanti che avrebbero fornito mezzi e logistica ai due.
La Politovakaja, che oggi avrebbe 53 anni, era, giova ricordarlo, come lei stessa ebbe a scrivere, una reietta, un'esclusa, a causa del suo impegno nella denuncia delle atrocità perpetrate dalle truppe russe ai danni dei civili nella "guerra sporca" della Cecenia, oggi tutt'altro che conclusa, e di cui,  in Russia, come in Occidente, oggi come allora, nessuno parla.
Una spina nel fianco della demoktatura putiniana, ancora oggi intenta a proseguire nella macelleria a cielo aperto nella regione caucasica i cui abitanti, a maggiorenza musulmana, sin dai tempi degli zar, sono sempre stati ostili alla sola idea di essere parte della Russia, si tratti di impero, repubblica dei soviet o federazione.
Quello che è certo che, al tempo, dopo il rinvenimento del corpo della giornalista, l'establishment federale provò immediatamente a mettere in atto una manovra mediatica depistante, credendo fosse possibile liquidare il fatto di sangue come un episodio di delinquenza comune. Manovra fallita poichè, gli amici della Politovsaja, una parte sia pur residuale dell'opinione pubblica russa e gli osservatori occidentali, la sventarono, sbugiardando gli inquirenti e costringendoli ad avviare un'indagine.
Meglio sarebbe dire "una specie di indagine" che si trascina da ormai un lustro con risultati risibili, se si considera che, ci si trova innanzi a un tenebroso ambiente che forse solo la penna di Federick Forsythe sarebbe in grado di descrivere, dove gli intereressi e le complicità si incrociano e soprattutto, innanzi a un paese dove la pratica di assassinare chi "canta fuori dal coro", nel descrivere lo stato delle cose in Cecenia, specie se giornalista, specie se donna, è proseguita nel 2009 con l'assassino (un colpo alla nuca in pieno centro di Mosca) di Anastasia Baburova, che svolgeva il suo lavoro occupandisi della medesima questione per lo stesso giornale della Politovskaja e di Natalia Estamirova, rapita sempre nel 2009 nella sua casa di Grozny, la capitale della regione caucasica, e trovata uccisa con un colpo alla nuca.
Neanche a dirlo, anche le indagini su questi delitti, che persino una matricola al primo anno di criminologia, saprebbe come indirizzare, sono saldamente ancorate nel porto delle nebbie.
Perchè. come sostiene Juilia Latynina, giornalista (vivente) della Novaja Gazeta," In Russia non si usa punire. Si lotta solo per i soldi. Sul resto, ci si può comunque accordare"
Uno poi si  interroga su come nascono e si saldano certe amicizie. A buon intenditor...
EP