venerdì 25 novembre 2011

LA RAGNATELA

Che ipocrita la politica di oggi. Si voleva formare un governo di emergenza. E allora perchè non si è formato un governo di emergenza composto dai partiti, come avvenne subito dopo la Liberazione e come, in qualche misura, avenne anche negli anni settanta, quando si formò una maggioranza di programma con un esecutivo politico dei ministri democristiani? Oggi si è inventato il governo tecnico. Che non può esistere, perchè ogni governo si basa sul consenso di una maggioranza parlamentare, e dunque politica. La vera motivazione della scelta compiuta è che nessuno dei due grandi partiti del bipolarismo italiano vuole confondersi eccessivamente con l’altro. E forse il terzo polo non vuole confondersi con nessuno dei due. E così, il cosidetto governo tecnico è risultato il paravento per evitare il rischio della contaminazione. Questo determina però una serie di evidenti paradossi. Il primo è quello che è emerso in queste ore ed è relativo ai vertici di maggioranza. Verranno convocati invitando tutti insieme, un polo alla volta, un partito alla volta? O forse solo i gruppi parlamentari, tutti insieme, un polo alla volta, un gruppo alla volta? Non si rischia il ridicolo? E a proposito dei vice ministri e dei sottosegretari, si parla di profili tecnici, ma nel contempo si certifica che saranno 12-15 del Pd, 12-15 del Pdl e 5 del Terzo polo. Quindi sarebbero tecnici segnalati dai partiti: tecnici politici, dunque. Una nuova, vecchia categoria. Che cosa cambierebbe? E che dire dei voti parlamentari? Dovranno essere convergenti se no cade il governo. Ma potranno, Pd e Pdl, dire le stesse cose? Dovranno forse dire cose opposte, per salvare il bipolarismo, ma poi votare nello stesso modo. E’ possibile, e soprattutto è credibile? Questa paura di contaminazione è in realtà animata dall’esigenza di tutelarsi l’un l’altro come soggetti alternativi, salvando così un bipolarismo che è invece la causa della crisi italiana. Perchè non ha mai permesso a chi ha vinto le elezioni di governare per risolvere i problemi. Solo Casini azzarda l’idea di puntare sulla convergenza, e non sul bipolarismo, anche dopo le elezioni. E così si vanno definendo le vere alternative politiche che il governo Monti mette alla luce. Quella del ritorno al conflitto e quella della perdurante conciliazione. Di Pietro è l’alfiere più intransigente, assieme alla Lega, che però non credo sia disponibie a un semplice ritorno al passato, del ripristino della scenario pre Monti, assieme a una parte del Pdl, ben interpretata dai giornali di Berlusconi, e anche a una parte del Pd, che fa capo alla sua sinistra (Fassina ne è certo l’esponente più esposto). Quella della permanenza della conciliazione, che è ben interpretata da Casini (Fini e Rutelli) e che passa anche all’interno del Pdl (Formigoni, Lupi, Cicchitto) e del Pd (Veltroni, Morando, Ichino). Chi vincerà questo braccio di ferro? Equivale alla domanda: quanto tempo resisterà Monti? E soprattutto alla domanda più di fondo: quale sistema politico si vuole definire per l’Italia? Si sta tessendo una tela (o ragnatela) che va dunque molto al dà del governo Monti. E che divide tutto quello che è stato unito in questi diciasette anni. MAURO DEL BUE

mercoledì 23 novembre 2011

DEGLI STIPENDI, DEI VITALIZI E D'ALTRO....

Giusto riflettere sugli stipendi, i privilegi e i vitalizi parlamentari, giusto proporre modifiche e riduzioni, ci mancherebbe. Sapendo però la verità, che sia i politici di oggi sia i giornalisti di sempre dovrebbero conoscere. E cioè che ogni modifica (come del resto vale anche per i lavoratori che sono già in pensione) riguarda quelli che sono in servizio, se si tratta di stipendi e privilegi, e coloro che verranno se si tratta di vitalizi. E di modifiche ne sono state già apportate molte. Ad esempio oggi non è più possibile ottenere un vitalizio con un solo giorno o mese o anno di carica parlamentare, come invece accadeva in passato, e come ancora oggi si continua a ricordare. E non è più possibile ottenere un vitalizio a meno di 60 anni, contrariamente al passato, e si potrebbe anche elevare l’età a 65 o 67. Volendo eliminare invece i vitalizi per gli ex deputati si verificherebbe un assurdo perchè, seguendo questo ragionamento, si dovrebbero richiamare in servizio i parlamentari che sono usciti, il chè, contrariamente ai baby pensionati congedati dal lavoro a soli 38 anni, sarebbe assai gradito dagli interessati. Quello che questa classe dirigente, incapace di motivare e difendere la propria situazione e anche, però, di introdurre da subito modifiche convicenti, serie, realizzabili, di ribattere, se è il caso, a critiche ed accuse infondate e di sostenere che i privilegi sono soprattutto altrove, questa classe politica così debole e ipocrita merita di essere trattata in questo modo. Continua ad autoaccusarsi, e rivela inevitabile la sua condanna popolare. Cavalca la tigre e insegue la moda, non sa spiegare e sostenere una tesi (ad esempio che i benefit dei parlamentari inglesi, tedeschi e francesi, che hanno stipendi, quelli francesi solo leggermente, inferiori ai nostri, assommano a più del doppio di quelli italiani, come recentemente pubblicato su “L’Espresso”), non è capace di criticare con dovizia di particolari anche chi la mette sul banco d’accusa e sottolineare anche i cospicui privilegi dei suoi spietati critici. Perchè non esistono forse i privilegi dei magistrati, ad esempio (sono stati pubblicati quest’estate quasi clandestinamente su “La Repubblica” con particolari inquietanti sui doppi e tripli stipendi e pensioni) e quanti sono quelli dei giornalisti di Stato, compresi coloro che tanto si scandalizzano per gli stipendi e le vitalizi altrui? E quelli degli stessi giornalisti ormai specializzati in libri e articoli contro la casta a quanto ammontano? Si dirà: sono a carico di privati. No. I giornali hanno anche provvidenze pubbliche. Potrei continuare coi manager di stato, coi presidenti di società a partecipazione statale, coi direttori e gli amminisitratori delegati delle aziende pubbliche e via dicendo. Questi signori, che sono i veri privilegiati e che hanno stipendi di dieci, venti, trenta volte superiori a quelli dei parlamentari, pensioni d’oro, benefici assai più cospicui e costosi, sono quasi immuni da critica. Compresi i cosidetti tecnici che oggi ci governano e che, provenendo in larga parte dall’apparato dello Stato, guadagnano assai più dei ministri di prima. Sono immuni, e anzi potenzialmente moralizzatori, perchè non sono ritenuti parte della casta politica, e dunque non stanno nell’epicentro della crisi. D‘altronde l’atteggiamento della classe politica di oggi giustifica ampiamente la sua messa sul banco degli imputati. Il suo comportamento induce ad emettere una sentenza di condanna senza neanche il processo. Se la merita. Per quanto mi riguarda vorrei fare eccezione e contribuire a fare chiarezza e tornerò sull’argomento non già per difendere la casta, ma per approfondire, precisare, ribattere nella convinzione che esistono le caste e che i costi delle caste altrui sono assai più insopportabili di quelli della sola esecrabile casta già condannata a morte. MAURO DEL BUE

lunedì 21 novembre 2011

ARRIBA ESPANA!

Ha vinto la destra. Nettamente. Ma sostenere che la Spagna ha voltato pagina per uscire dalla crisi nella quale è sprofondata appare, francamente, velleitario ed eccessivo. Alla Moncloa torna un galiziano, figlio di quel nord est della penisola iberica, appendice settentrionale del Portogallo dove, la lingua ufficiale è il gallego, molto più simile al lusitano che non al castigliano, terra che ha dato i natali a Francisco Franco e al suo erede politico Manuel Fraga Iribarne, méntore di Mariano Rajoy, il vincitore delle elezioni. Dopo un andaluso, Felipe Gonzalez e due castigliani, Josè Maria Aznar e Josè Luis Zapatero, divenuti premier poco più che quarantenni, la Spagna ha affidato i propri precari destini al cinquantaseienne ex notaio di Santiago di Compostela, luogo legato al tradizionalismo cattolico spagnolo di cui Rajoy è, al pari di Aznar, chiara espressione. Dai suoi predecessori Rajoy non ha certo ereditato il carisma, perché i suoi tratti caratteriali sono rappresentati dalla "retrança" galiziana già incarnata dal Caudillo: understatement, oratoria tutt'altro che trascinante ma anche astuzia, tenacia e ostinazione che il leader della formazione, nata come appendice del franchismo, ha mostrato nei lunghi anni nei quali è stato il capo dell'opposizione al brillante Zapatero. Nonostante la sconfitta alle elezioni del 2008 infatti, Rajoy ha tenuto saldo il timone alla guida del Partito Popolare e, dopo solo tre anni, profittando delle defaillances in campo economico e finanziario e dell'annunciato ritiro dalla scena politica del cinquantenne primo ministro, con il Psoe impreparato al suo avvicendamento con un candidato che in qualche modo potesse segnarne la discontnuità, ha conquistato un'ampia maggioranza assoluta alle Cortes, tale da consentirgli di governare il paese iberico con una forza parlamentare blindata. Nella vittoria di Rajoy, insperata fino ad un anno fa, ha giocato un ruolo anche la "baraka", la fortuna che assistette nella sua ascesa l'altro galiziano. Mutatis mutandi, a cominciare dalla ovvia considerazione che ben diverse sono le modalità e le circostanze interne che ne hanno determinato la vittoria, come Franco, Rajoy, il notaio di Compostela, espressione della Spagna conservatrice che ha nella Galizia uno dei suoi contrafforti, ha potuto giovarsi dell'esplosione di una gravissima crisi economica e finanziaria eterodiretta, del malcontento trasversale di ampi settori della società spagnola, di cui gli indignados sono parte anche se non l'unica, di un declino tanto rapido quanto imprevisto di una nazione che sembrava avviata ad un rinascimento nel segno delle riforme sociali di cui i governi socialisti sono stati protagonisti. Certo, non siamo nel 1936, i conflitti sociali non sono certo figli dell'esasperazione ideologica di quegli anni, i modelli da seguire non sono i regimi di Stalin, Hitler e Mussolini poiché in Spagna come in Europa la democrazia ha messo radici ben solide e Mariano Rajoy non può obiettivamente essere definito un nostalgico del falangismo franchista, tuttavia, sia pure con modalità che, quasi certamente, non usciranno dal perimetro democratico, avendo il PP una maggioranza parlamentare bulgara, non è difficile prevedere per i prossimi anni un riflusso della Spagna verso un oscurantismo neoclericale e nazionalista, scandito da politiche sociali conservatrici di segno neoliberista a scapito della prosecuzione del percorso laico e riformista perseguito dai governi socialisti. La scelta dell'elettorato rischia dunque non di rappresentare una svolta ma, sull'altare del risanamento finanziario, una ben più problematica inversione ad u. Con il rischio, per ora remoto, che qualche hidalgo nostalgico possa anche rispolverare l'antico motto: Arriba Espana! ep

martedì 15 novembre 2011

CRISI. NENCINI: A MARIO MONTI HO CHIESTO EQUITA'

Al termine di due giornate che lo hanno visto impegnato insieme a Carlo Vizzini sul fronte delle consultazioni per la formazione del nuovo governo con Giorgio Napolitano e con il Premier incaricato Mario Monti, il segretario nazionale dei socialisti Riccardo Nencini, visibilmente soddisfatto, incassa anche la conferma che nel sondaggio del lunedì di EMG per il TGLa7 il Psi è stimato all'1.3%.
"Ho parlato a lungo con il capo dello Stato. I minuti previsti erano 10. Sono diventati 15. II rapporto con Napolitano è antico".
Cioè?
"Quando Napolitano era presidente della commissione affari istituzionali del Parlamento europeo, ero presidente del Consiglio delle assemblee regionali d'Europa. Fu la Rosa nel Pugno a indicarlo per primo, nel 2006, come candidato presidente della Repubblica: fui io a comunicarglielo".
In quei 15 minuti, cosa vi siete detti?"Intanto, l'intervento di Napolitano è il segno che la politica non è tramontata, e le istituzioni, quando hanno buoni rapporti, rappresentano bene un pezzo dell'Italia".
Il Psi appoggia Monti?
"Abbiamo detto non solo sì a Monti, ma anche che serve un programma di riordino degli enti locali e istituzionali, è necessario un taglio dei parlamentari, e vanno prese misure economiche efficaci ed eque".
E con Monti quanto è durata?
"Quaranta  minuti. Gli abbiamo ripetuto i nostri obiettivi, e quando gli ho parlato dell'esigenza di misure economiche eque mi ha fermato: "Sull'equità non è necessario aggiungere aggettivi" - ha affermato il premier incaricato - Sono d'accordo". Un bel segnale".
Ma non vi sarete fermati qui?
"No, assolutamente. Abbiamo parlato anche delle manifestazioni davanti al Quirinale e Palazzo Chigi, gli abbiamo detto che oggi è necessaria una fase di pacificazione fuori dal Parlamento e di responsabilità dentro al Parlamento. Siamo stati molto soddisfatti che le sue prime dichiarazioni siano andate in questo senso".
Sarà un governo "lacrime e sangue"?
"Il dialogo si è ovviamente concentrato sulle questioni economiche: oltre al taglio dei parlamentari, ed alle spese della politica - non è possibile che il Consiglio regionale della Sicilia costi 170 milioni di euro e quello Toscano 30 milioni - ci devono essere criteri univoci in tutta Italia.  Abbiamo espresso quella che secondo noi è necessità. Occorre puntare alla tassazione delle rendite finanziarie, ma anche proposto che si utilizzi, come si è fatto in Toscana per i ticket sanitari, l'Isee, l'indicatore di situazione economica".
Monti durerà fino al 2013?
"Lui ci prova, con bravi tecnici e eccellenti politici".
E il Psi, in caso di elezioni, cosa farà?
"Alle prossime elezioni ci presenteremo col nostro simbolo, in una alleanza liberale, laica, aperta ai democratici. E speriamo con un'intesa che dall'Udc arrivi fino alla sinistra riformista".

VI CONGRESSO DELLA FGS

mercoledì 9 novembre 2011

OTTO NOVEMBRE

L'auspicata e prossima uscita di scena del Presidente del consiglio coincide, per uno singolare contrappasso, con la sentenza di primo grado del tribunale di Napoli relativa alla cosiddetta Calciopoli la cui scoperta risale alla primavera del 2006, alla vigilia dei mondiali di calcio dei Germania vinti dalla Nazionale italiana.

Lo sport più popolare d'Italia, per uno dei soliti accidenti del destino, è sullo sfondo delle vicende politico giudiziarie che hanno occupato l'interesse dei media dell'8 novembre 2011. Mentre si consumava tra Camera e Quirinale la Waterloo del Cavaliere, Premier uscente e presidente del Milan, nel capoluogo partenopeo i giudici del tribunale stavano per emettere una sentenza che ha confermato, mediante durissime condanne, il profilo criminale dell'associazione messa in piedi da Luciano Moggi, per anni considerato l' apparente contraltare juventino di Berlusconi, nel calcio italiano.Tra i condannati (un anno e tre mesi per frode sportiva, mica per taccheggio), c'è il sig. Diego Della Valle. Si proprio "quel" Dellavalle che, da mesi occupa salotti televisivi, acquista pagine intere di giornale, per fare la morale agli altri scrivendo parole al curaro contro la casta, ponendosi alla testa degli indignati da salotto buono, un esercizio caro a larga parte del ceto imprenditoriale nostrano che, anziché assumersi le proprie gravi responsabilità relative al declino etico del nostro Paese, si erge a giudice, avendo la pretesa di indicare la via da percorrere per uscire dalla crisi. E' difficile, in tema di improntitudine, scorgere qualche differenza tra il premier dimissionario e il sig. Della Valle: entrambi imprenditori di successo, espressione della leva che Giuseppe De Rita definisce come i "cetomedizzanti" ossia i responsabili di un falso benessere borghese generalizzato, hanno trasferito la loro filosofia del successo da ottenere a qualunque costo, in spregio a qualsiasi regola o codice, prima nel gioco del calcio, portandolo a una situazione di degrado etico inaudita, e poi, in politica.
La parabola politica di Berlusconi è ben nota.
Quella di Della Valle, viste le premesse, è auspicabile che neppure inizi.
Se un personaggio come Luciano Moggi ha potuto tessere la sua tela criminale per anni, falsando partite, corrompendo arbitri e designatori, controllando e determinando, mediante una vera e propria cupola di cui era il capo indiscusso, rispettato e temuto, i risultati delle partite, i trasferimenti e le carriere dei giocatori è perché ha goduto di tolleranza e complicità nell'ambiente, ai più alti livelli, ambiente di cui i fratelli Della Valle, tuttora padroni della Fiorentina, erano magna pars, oltre naturalmente ai Lotito, Galliani e compagnia.
A codesto genere di imprenditori la politica ha già dato.
Diego Della Valle, anni fa, ci aveva già provato con l'Udeur (!), ritirandosi in buon ordine quando finì nei pasticci per calciopoli.
Ora ci stava riprovando anche grazie ai soliti Floris, Santoro e al loro elastico senso dell'etica pubblica.
La sentenza di Napoli dovrebbe indurre lui e i suoi supporters a desistere perchè in caso contrario l'Italia, tornerebbe, come si dice a Roma, "da capo a dodici".
EP

martedì 8 novembre 2011

BRUNETTA (DEI RICCHIE POVERI)

C'era una volta un comico pugliese che spesso evocava la brunetta dei Ricchi e Poveri. Era una delle due donne (l'altra era bionda, più alta e più belloccia). La brunetta non se la filava nessuno e cantava con il tono della voce più alto e un tantino sgraziato. Anche per far notare la sua presenza. Oggi pare sia diventata ministro. Forse un pò diminuita di
statura (per via dell'età, può capitare). Ma il Brunetta con gli occhi stralunati, il capello più fluente, il cipiglio più virile, l'irruenza sempre più incontrollabile, afflosciato nella poltrona di Porta a Porta di ieri sera, mi ha proprio dato l'impressione di un vecchio cantante alla deriva, inacidito come una vecchia zia, che non se la fila più nessuno e se la prende con tutti. Avrà anche avuto delle ragioni (che so, la storia dello scalone io la condivido), ma anche le ragioni ieri sera si trasformavano in torti, tanto erano puntigliosamente arrugginite da un tono inutilmente accidioso e agguerrito. Possibile che dentro il Pdl ci siano personaggi (da Brunetta alla Bernini) che non hanno ancora capito che il tempo della trincea è finito? E come un cantante non sa che deve cambiare timbro se passa da una canzone d'amore a una di morte,
così anche un uomo politico che non comprende che il tempo dei lunghi coltelli è archiviato, rischia il ridicolo. E dal loggione è naturale che poi piovano risate grasse, anzichè lacrime nel punto più commovente e struggente della musica. Lo porteranno via dalla scena Brunetta, mentre si agiterà ancora con le gambine che si attorcigliano tra urla e schiamazzi. E ritornerà tra i ricchi e i poveri davvero.

MAURO DL BUE

lunedì 7 novembre 2011

GATTINI CIECHI

La giornata di oggi sta trascorrendo con il frenetico rincorrersi di voci e smentite sulle possibili imminenti dimissioni di Berlusconi e la serata potrebbe riservarci dei coupes de theatre i cui contenuti, peraltro, è arduo pronosticare. Può davvero succedere di tutto.
Intanto c'è chi come Ferrara, con malcelato dispiacere, giudica l'addio di Berlusconi inevitabile e imminente, altri come il criptico La Loggia (toh! chi si rivede!) lo esclude e parla addirittura di una maggioranza che si rafforza annunciando sorprese per domani.
Il primo effetto di questo clima schizoide sta nel fatto che le borse sono altalenanti, prova provata che, se si sussurra che il Premier toglie il disturbo all'Italia (ché, di questo si tratta), l'indice della borsa risale e scende lo spread; succede il contrario subito dopo che arriva la irata smentita del Cavaliere che definisce gossip, le voci che lo descrivono sul punto di gettare la spugna.
L'andamento odierno dei mercati finanziari è la plastica rappresentazione, a beneficio di chi ancora va sostenendo che non è vero, che il problema non è l'Italia ma Sivio Berlusconi di cui non si fidano probabilmente neppure più gli uscieri della City o di Wall street.
Lo stesso commissario europeo agli affari economici Olli Rehn, come se non bastasse, fa dire oggi al suo portavoce che "La lettera inviata dall'Italia ha dei limiti oggettivi, non c'è ad esempio un'analisi economica delle misure o l'impatto sul bilancio e nemmeno i dettagli della riforma del lavoro. I mercati chiedono chiarezza". Un'altra mazzata.
La resistenza di Berlusconi è puntellata principalmente dalla sua famiglia, dai suoi legali e da Fedele Confalonieri, altra plastica dimostrazione che il bene dell'Italia è l'ultimo dei problemi a cui trovare una soluzione che affollano la mente di un personaggio, che ha occupato la poltrona di Premier con lo scopo primario di tutelare se stesso e i propri interessi, oggi seriamente minacciati dal combinato disposto finanza-politica-magistratura che potrebbe, nel volgere di pochi giorni, travolgerlo.
Non a caso la linea del Piave fissata da Berlusconi non è il partito di cartapesta che ha costruito e che si sta disfacendo con la stessa velocità con cui è nato e che, se raggiungesse l'obiettivo di elezioni anticipate (considerato ormai il male minore), è pronto a ricostruire con dipendenti a lui fedeli, ma la sua famiglia allargata, intesa come il contenitore di interessi, vera ragione del clima da ultimi giorni di Pompei che sta attecchendo definitivamente su umori e comportamenti dei berluscones-deputati, fino a ieri considerati alla stregua di pasdaran ma che oggi si aggirano come gattini ciechi alla ricerca di improbabili nuovi approdi politici.
Sempre che non abbia ragione, Dio non voglia, il redivivo Enrico La Loggia.
EP