Non sarà una sorpresa, ma quella contestazione dei ministri leghisti sulla festa dell’Unità d’Italia non può non produrre sconcerto. Perchè se c’è una cosa che dovrebbe unire è proprio questa: il valore dell’unità della nazione. Unità che produce l’amor patrio. Siamo l’unico paese del mondo in cui addirittura nella stessa coalizione di governo non c’è accordo su questo. Non si tratta di un principio qualsiasi. Si tratta della base su cui si deve fondare una maggioranza. Anzi, dovrebbe trattarsi di una condivisione che unisce tutte le forze politiche al di là della loro partecipazione a un governo, come avviene del resto negli Stati Uniti e anche nelle grandi democrazie dell’Europa. E’ stato così sempre anche in Italia almeno dal dopoguerra ad oggi. Anche nei momenti di scontro ideologico e di sistema più aspro sia il Risorgimento sia la Resistenza hanno unito le diverse forze politiche in campo. Ma se sulla Resistenza si affacciavano accenti e giusficazioni diverse (il Msi era tenuto per questa sua diversità fuori dall’arco delle forze costituzionali), sul Risorgimento e sull’Unità d’Italia nessun partito aveva mai manifestato una così inconciliabile diversità di accenti e di opinioni. Per di più nella storia d’Italia, a partire proprio dalla fase unitaria post risorgimentale, è stata proprio la destra ad esaltare, più che non la sinistra, il valore assoluto dell’unità. E questo è l’aspetto nuovo e preoccupante dell’attuale stagione poltica. L’ennesimo paradosso, la nuova sconcertante anomalia. E cioè che mentre la sinistra è tutta più che mai coperta dietro l’ombrello dell’unità nazionale, e anche il commovente omaggio sanremese di Benigni lo testimonia, nella destra si è aperta una falla clamorosa, proprio su un tema che è sempre stato caratteristico più della destra che della sinistra: il tricolore, l’unità della nazione, l’amor patrio. Vedremo come finirà. Posso solo auspicare che la sinistra non faccia il suo ennesimo autogol e non consideri più la Lega una sua costola. Anche quando, caro Bersani, il principale avversario appare un altro, non bisogna mai fare dell’opportunità l’unica politica scambiando la tattica con la strategia. Almeno su questo tornare ai classici non sarebbe proprio un male.
MAURO DEL BUE
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