mercoledì 2 marzo 2011

PER UN CESPO D'INSALATA

Siamo a Reggio Emilia, in un caldo 20 agosto del 1796.

In quei giorni la situazione in città è confusa: i francesi occupano la Cittadella ed il Reggente estense invia 400 Dragoni per cercare di mantenere l’ordine; ma verso le cinque del pomeriggio arriva il casus belli sotto l’insolita forma di un cespo d’insalata.
Dobbiamo fare uno sforzo d’immaginazione e porci in piazza San Prospero, la piasa céca dei reggiani. Quel luogo, all’ombra della basilica del patrono, ora come allora rappresentava il cuore della vita cittadina, dove si svolgeva il mercato quotidiano.
La piazza è gremita di gente quando, in un punto imprecisato, scoppia una lite fra un granatiere e un’ortolana perché, pare, non si erano messi d’accordo sul prezzo della merce. Episodi come questi rappresentavano forse la normalità in un mercato cittadino, ma la confusa situazione politica i cui si trovava la città era sufficiente a trasformare la fiamma di un cerino in un incendio.
L’azione è degna di un copione hollywoodiano: un barbiere tenta di mettere pace tra il soldato e l’ortolana, ma è minacciato con una sciabola che finisce addosso ad un ragazzino; alle grida di quest’ultimo accorre l’Auditore militare Ferdinando Ruffini, che rimprovera il soldato, cui però arriva a dare manforte un commilitone che colpisce il braccio dell’Auditore; quest’ultimo, per evitare altre percosse, trova rifugio in un negozio nel quale, manco a farlo apposta, si trovava un noto e fervente repubblicano, Carlo Ferrarini che, preso da furore antiestense, afferra una sedia e la scaglia addosso ai soldati. La loro reazione non si farà attendere e il povero Ferrarini, coinvolto suo malgrado, dopo essere stato malmenato dai soldati è trascinato in arresto negli alloggiamenti della milizia a porta san Pietro.
La notizia dell’arresto del Ferrarini si sparge in un baleno e la piazza si riempie di gente che chiede la sua liberazione. E’a questo punto che compare sulla scena un personaggio che diventerà quasi un’icona della rivoluzione cittadina: Rosa Manganelli, nome omen.
La donna si pone coraggiosamente alla testa dei repubblicani cominciando a distribuire armi agli accorsi e,dopo aver guidato la schiera dei rivoltosi in piazza grande, allora sede del governo cittadino, capeggia l’occupazione del palazzo pubblico e scatena la caccia al dragone estense. In un primo tempo la guarnigione sembra non rendersi conto della gravità della situazione e minaccia i rivoltosi di “voler giocare a bocce con la testa dei giacobini” ma, dopo un invito alla prudenza da parte del Senato cittadino, è consegnata nei propri alloggi ed è impartito l’ordine di rilasciare subito il prigioniero.
All’alba del 22 agosto la guarnigione senza battere tamburo si ritira a Modena. Il governatore estense, Don Mario Fici della Giumerella dei duchi di Amalfi detto significativamente “fico”, vistosi in balia della folla senza la protezione dei dragoni, fugge dalla città con i soldati: la rivoluzione ha trionfato e la città è finalmente libera, tanto da divenire, come scrive Prospero Fantuzzi in una cronaca, La Primogenita.
A coronamento dell’avvenuta rivoluzione, nella notte tra il 25 e il 26, un piccolo gelso diviene “Albero della Libertà” e viene piantato davanti all’ex sede del governo Estense da un gruppo di ardimentosi cittadini quale coronamento della ritrovata indipendenza. E fu così che Ugo Foscolo dedicò l’Ode a Bonaparte liberatore ai Reggiani “Primi veri italiani e liberi cittadini” forse non sapendo che tale scintilla fu accesa dal coraggio di due donne, di una soltanto delle quali, purtroppo, conosciamo il nome.
Questa fiaba ci insegna che non bisogna mai sottovalutare il coraggio delle donne, cui dobbiamo onore, rispetto e riconoscenza per tutto ciò che, spesso nell’ombra e nel silenzio, hanno fatto per noi Italiani.
Viva l’Italia!!!

RITA MORICONI

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