Federico Rampini nel suo blog su Repubblica.it riferisce che la scelta di Time magazine di indicare il padre di Facebook, il ventiseienne Mark Zuckerberg, uomo dell'anno, sarebbe sgradita a molti americani, soprattutto giovani, che avrebbero preferito che la rivista indicasse Julian Assange, il padre di Wikileaks, motivando tale preferenza soprattutto con il fatto che il giovane Mark e il suo social network sarebbero troppo funzionali ll'establishment a stelle e strisce e comunque la bocciatura del re degli hacker australiano sarebbe il portato della caccia all'uomo di cui è vittima dopo la messa in rete dei links riservati della diplomazia.
Occorre considerare che a Zuckerberg, si sia o meno supporter di Facebook, va riconosciuto di avere realmente cambiato, in pochi anni, vita e abitudini di milioni di persone in tutto il mondo. Assange, almeno per il momento, non pare essere neppure paragonabile al geniale giovanotto di Palo Alto, nonostante Wikileaks rappresenti un formidabile fattore di evoluzione dell'informazione globale, la cui utilità è tuttavia ancora da verificare.
Che il primo sia negli States una star osannata e celebrata, più di Bill Gates e Steve Jobs mentre il secondo sia divenuto per gli sceriffi di Pentagono e Cia una sorta di Dillinger telematico a cui mettere, in qualunque modo, il bavaglio non c'è dubbio e per questa ragione è meritevole di solidarietà.
Ma, come è sempre accaduto, a pensarci bene, al netto della obiettiva, abnorme e un pò ridicola furia persecutoria americana, la redazione di Time, ha visto giusto.
Tra i due non poteva esserci partita.
EP
Come al solito, sono assolutamente d'accordo.
RispondiEliminaLoredana :)