giovedì 28 ottobre 2010

PRIMARIE DELLE IDEE. NON DEI NOMI


di Riccardo Nencini (da Il Riformista del 28 ottobre 2010)

Il buongoverno inizia dai Comuni: lo abbiamo ripetuto come un mantra nel nostro ultimo congresso di Perugia, continuiamo a farlo oggi con maggiore convinzione.
L'appuntamento delle elezioni amministrative di primavera deve essere il primo vero banco di prova per una coalizione riformista formata dal Nuovo Ulivo e aperta al Centro di Casini. Passare dalla teoria alla pratica, dalle formule ai fatti e declinare l'idea di un'alternativa al centrodestra in un progetto vincente. Se vogliamo vincere, occorre scegliere. Una scelta netta: tra il centro liberaldemocratico, e il magma giustizialista e populista di Di Pietro, Grillo ed i vari radicalismi imbevuti di teorie millenariste. Con i primi si può vincere, con i secondi si continua a perdere. Serve coraggio per fare scelte che in parte della sinistra, probabilmente, non verranno comprese e accettate.
Al congresso di Sel, a Firenze, siamo stati fischiati assieme alle delegazioni di Cisl e Uil. La 'nuova' sinistra che esalta l'ideale di bellezza e vuol ripartire dai cortei della Fiom resta impigliata nelle sue contraddizioni e fischia chi, in politica e nel sindacato, mantiene ferma la barra di una visione riformista. Ma tra l'essere condannati a una perenne opposizione e riprendersi il governo di città come Milano e poi dell’Italia noi scegliamo questa seconda strada. Meglio essere fischiati che perdere, non solo le elezioni ma il contatto con una parte del Paese che pretende nuove idee e un nuovo modo di portarle avanti. Le amministrative dovranno essere la chiave di volta per la riscossa del centrosinistra.
A metà degli anni '90 il parvenu della politica Silvio Berlusconi iniziò proprio da Milano a consolidare il proprio consenso. Dalle grandi città partì allora l'unico vero cambiamento della cosiddetta Seconda Repubblica, con i sindaci che si conquistarono – anche in virtù della nuova legge – un'attenzione e una visibilità pari se non superiore a quella dei leader nazionali dei partiti.
Dobbiamo puntare tutto sulle amministrative, conquistare le grandi città chiamate al voto per governarle e governarle bene. Recuperando, attraverso il buongoverno, il terreno perduto in questi anni. Per farlo non si può pensare di imbarcare chiunque e di fare i patti anche col diavolo, perché il diavolo prima o poi presenta il conto.
Presentiamo programmi che non siano libri dei sogni ma che contengano un'idea vincente per le città: sviluppo sostenibile, mobilità, ambiente, degrado urbano, sicurezza, nuovi fermenti culturali. Chi vive nei grandi centri urbani vuole risposte su questi temi, non su quanti posti spetteranno a questo o quel partito. E soprattutto non vuol vedere i partiti che si dilaniano per scegliere un candidato sindaco. La partita la dobbiamo giocare sui programmi e su una coalizione che li condivida, con partiti che risultino affidabili e non espressione di antipolitica o di mero antiberlusconismo. E qui veniamo alle primarie.
In un sistema politico 'normale' dovrebbero essere i partiti il luogo naturale di selezione del personale politico, a tutti i livelli. Le primarie interne ai partiti esistono in alcune democrazie regolate dalla legge (p.e. in Usa e in Israele) e funzionano. In Italia sono state spacciate per cura di ogni male e ora rischiano di diventare la malattia. Se sono vere, come quelle che ha fatto il Pd per scegliere Bersani, vanno bene; se diventano un reality continuo in cui si pavoneggia chi è più bravo ad andare in tv meglio lasciar perdere.
Le primarie piuttosto facciamole sulle idee, partendo dalla riconquista delle grandi città chiamate al voto. Con un minimo comun denominatore: un riformismo moderno e immune da ogni estremismo.

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