martedì 27 settembre 2011

IL SAMBENITO DI BAGNASCO

La prolusione pronunciata da Sua Eminenza il Card. Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova e Presidente della Cei è da ieri oggetto di analisi del testo, stravaganti adozioni di chiavi interpretative, improbabili approcci esegetici, interpretazioni disparate soprattutto da parte di quegli esponenti del mondo cattolico impegnati in politica nel centro destra, alcuni dei quali, in preda ad una evidente e comprensibile disperazione, hanno provato ad inventarsi logorroici bizantinismi ai quali peraltro non paiono credere neppure loro, alcuni smarrendo persino il senso della misura e talora del ridicolo.Così appaiono i desolati e imbarazzati interventi a commento di Maurizio Sacconi, l'ex socialista che ha adottato i panni e lo zelo di un San Paolo post moderno, del solito Bondi e di quel Maurizio Lupi, esponente di una porzione di mondo cattolico legata al carro del PdL per ragioni spesso tutt'altro che commendevoli. E', codesta una patetica esercitazione di stile poiché il lessico curiale utilizzato dal Presule, il non detto, la non menzione esplicita del destinatario, se da un lato sembrano stemperare il peso e la gravità delle invettive lanciate, dall'altro il senso delle stesse, il tono pacato ma risoluto adottato, inducono a ritenere che il depositario non possa essere altri che Silvio Berlusconi. Con un sapiente uso del lessico liturgico, diplomatico e vagamente inquisitorio, degni di un Roberto Bellarmino piuttosto che di un Federigo Borromeo, Sua Eminenza non ha certo scordato di sottolineare gli eccessi mediatici e forse anche giudiziari di queste settimane ma l' impianto dei suoi argomenti non lascia spazio a dubbi: il Presidente della CEI ha offerto a Berlusconi un sambenito virtuale. Il quale Cavaliere, descritto come sgomento e irato, ha messo in moto il solito Letta per cercare di porre rimedio ad una situazione che per lui ora è divenuta davvero insostenibile. Il “gentiluomo vaticano”, non è dato sapere con quanta convinzione, si impegnerà per ricucire il filo spezzato ma l'asprezza della condanna di Bagnasco ha come rimedio per il malridotto cavaliere unicamente l'espiazione dei peccati, da praticare lontano dagli incarichi pubblici.
In pochi giorni sono venuti a mancare al Premier gli architravi politici e morali su cui ha poggiato la sua quasi ventennale stagione politica i cui attori principali oggi, di fronte al precipitare dell'immagine pubblica e del contestuale e conseguenziale immobilismo politico, non solo puntano il dito verso il reprobo ma rivolgono altrove la loro attenzione.Che lo abbiano scaricato gli imprenditori, delusi dalla mancata attuazione di una rivoluzione liberale e liberista promessa a più riprese, ci può stare. Berlusconi con loro, in fondo, avrebbe potuto ritenere che esistessero dei margini di recupero, per quanto impervia si presentasse la strada.
Ma la pubblica censura di Santa Romana Chiesa, non certo frutto di sterile improvvisazione, ma concepita e lungamente maturata, come ha ricordato Bagnasco, dentro il perimetro della comunità ecclesiale, ha il suono della campana a morto per una stagione politica che da Oltre Tevere è considerata non solo finita ma da consegnare rapidamente alla storia, parlandone il meno possibile.
Poiché, per la gerarchia ecclesiastica, alle prese essa stessa con gravi problemi legati ai comportamenti di non pochi tra i suoi esponenti, è una delle pagine più imbarazzanti della quasi secolare ingerenza vaticana negli affari dell'Italia.
Tra le Mura Leonine si sta forse facendo strada l'ipotesi che sia meglio voltare rapidamente pagina.

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